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1903, Alberto Bisin, Chavez, euro, liberismo, liberisti, Milton Friedman, Pescara, Venezuela
Vorrei proporvi un tuffo nel passato. Giusto per darvi una idea di come il problema del debito sia stato sempre attuale. Prendo spunto da un articolo che comparve sulla rivista “The Historian” nell’ormai lontano marzo 1995 scritto da uno studioso di storia economica di particolare valore: Kevin Anderson.
Dunque siamo all’inizio del secolo scorso: 1903. Il luogo è il Venezuela che, come si dimostrerà è un posto che ai capitalisti ha sempre creato qualche grattacapo, già già sino a Chavez. Dal 1899 “regnava” in Venezuela “El Presidente”, Cipriano Castro Ruiz. Ex militare, era arrivato al potere attraverso quella che venne chiamata la Revolución Liberal Restauradora (“Rivoluzione liberale restauratrice”) che è un buffo nome per indicare un colpo di stato. Le casse dello Stato venezuelano nel 1899 erano piuttosto vuote e l’economia era tranquillamente nelle mani degli investitori stranieri che, negli anni precedenti avevano abbondantemente fatto acquisti (“shopping” per gli anglomaniaci) approfittando della situazione generale e della debolezza della moneta nazionale (qualcuno lo ricordi al guru di Pescara cosa succede in questi casi). L’economia era dominata nei suoi elementi vitali dalla Germania (che controllava le ferrovie), dalla Francia (comunicazioni), dai Belgi (energia idroelettrica), dagli Italiani (agricoltura e commercio). Il Venezuela era un bengodi per tutti i prenditori (scusate volevo dire imprenditori) che agitando le teorie del libero scambio, delle mani invisibili, del libero mercato e della concorrenza si arricchivano facendo poi la lezione sulle virtù dell’economia (un vizio che oggi continua). In più il Venezuela aveva emesso titoli di Stato per dieci milioni di dollari (ovviamente dell’epoca) sui quali non era in grado di pagare gli interessi dovuti. Inglesi e Tedeschi già nel 1896 – per far stare a galla il governo venezuelano e non perdere tutto – avevano rifinanziato il debito che usavano come una pistola alla tempia per mantenere il controllo sul Paese. Era abbastanza evidente che il Venezuela non avrebbe mai potuto restituire il debito o pagare gli interessi: nessuna attività redditizia rimaneva in mani venezuelane. Cipriano Castro ingenuamente pensò di poter ridurre la presenza straniera nel suo Paese e, in poco tempo, si mise contro gli imprenditori europei con provvedimenti che ne limitavano la libertà d’azione. L’idea non fu molto sensata. In fondo si trattava di rompere quel tacito accordo che presiede al libero scambio. Una dottrina che non va toccata, specie dai poveracci che non hanno niente da scambiare. I maggiori creditori europei cominciarono a temere che Cipriano Castro volesse espellere buona parte dei mercanti stranieri e, soprattutto, che si mettesse in mente l’idea di nazionalizzare le principali risorse del Venezuela. A questo punto le soluzioni erano due: rovesciare Cipriano con un colpo di Stato o intervenire direttamente. Fu tentata la prima soluzione. Il liberismo trova sempre qualche servo utile e, in questo caso, non si dovette cercare troppo per trovare Manuel Antonio Matos. La figura di Matos è interessantissima. Si trattava di un grande banchiere che era diventato il padrone assoluto delle attività finanziarie venezuelane per conto delle potenze straniere. La New York and Bermudez Company avvicinò Matos promettendogli assistenza finanziaria se avesse voluto guidare una rivoluzione e destituire Cipriano Castro. Anche la Orinoco Steamship, la Compagnia Ferroviaria tedesca, La Compagnie des Cables francese aprirono i cordoni della borsa. Matos riunì intorno a sé una masnada di “caudillo”, ossia signori della guerra sempre pronti a prendere le armi dietro lauto compenso. Questi, che avevano ottenuto comandi militari da Cipriano in cambio di una certa tranquillità, furono ben contenti di potersi arricchire. Sfortunatamente per Matos e i suoi amici imprenditori l’esercito ribelle venne sconfitto da Cipriano nella battaglia di La Victoria (12 ottobre 1902). Il colpo di Stato fallì, Matos dovette mettersi in salvo e alle potenze europee non rimase che adottare la seconda opzione: intervenire direttamente. Nel dicembre del 1902 Inglesi, Tedeschi ed Italiani inviarono un ultimatum a Cipriano minacciando un intervento armato se il debito non fosse stato pagato. Cipriano non si piegò e le navi europee salparono alla volta delle coste venezuelane. Dopo aver spazzato via la flotta di Cipriano le cannoniere bloccarono tutti i porti del Paese debitore. Ovviamente la situazione impensierì non poco tutti i Paesi americani. Quelli del sud – che vantavano debiti inferiori ma sempre cospicui – temevano di poter fare la stessa fine del Venezuela. Gli Stati Uniti erano preoccupati che gli Europei potessero mettere il naso nel loro “cortile” di casa. Il ministro degli esteri argentino, Luis Maria Drago, inviò una nota a Washington in base alla quale si proponeva di dirimere la questione. Quella che poi è passata alla storia come “Dottrina Drago”, stabiliva che i creditori stranieri non potessero usufruire di un grado di protezione superiore a quella concessa ai creditori nazionali. In altri termini il “foro competente” doveva essere quello della nazione indebitata. In secondo luogo Drago dava una lezione di liberismo ai liberisti: gli imprenditori stranieri – scriveva – si erano assunti un rischio di impresa acquistando i titoli sovrani venezuelani e i loro problemi non potevano essere risolti da azioni violente che mettessero in dubbio la sovranità di un Paese. La “Dottrina Drago” scosse Washington perché era evidente che il presidente Roosevelt ci stava facendo una pessima figura. Gli Americani temevano un confronto militare con gli europei da un lato ma, dall’altro, se avessero ceduto avrebbero buttato a mare la “Dottrina Monroe”; “l’America agli americani”. Ma soprattutto i circoli finanziari americani erano nel panico. Se la “Dottrina Drago” fosse passata come garantirsi in futuro da qualche rovescio economico in altri paesi latino-americani? Insomma: qualsiasi decisione si fosse presa sarebbe stato un brutto precedente per i capitalisti di Washington. Il compromesso che si trovò fu un arbitrato da affidarsi alla Corte Internazionale dell’Aja. Cipriano non era del tutto stupido e capì che Roosevelt stava giocando la sua partita: gli USA infatti si erano proposti per rappresentare gli interessi del Venezuela in sede di arbitrato. Che necessità c’era di affiancarsi a Caracas se non per affermare il ruolo statunitense nella regione? Cipriano intuì che stava cadendo dalla padella alla brace e, velocemente, spiazzò tutti accettando le richieste ultimative degli europei. Ma la macchina si era avviata e la questione venne portata all’Aja. La Corte diede torto ai venezuelani ma il suo intervento satbilì un precedente: per questioni simili l’opzione militare doveva essere abbandonata.
Vorrei farvi notare che la “Dottrina Drago” non passò. Ossia neppure gli statunitensi l’accolsero con favore. Le ragioni sono evidenti: in Venezuela e in tutta l’America Latina i capitalisti americani agivano esattamente come quelli europei. Riconoscere che l’unico foro legale competente in caso di questioni finanziarie dovesse essere quello del Paese in cui il problema si presentava era inaccettabile per Washington. Non si poteva perdere il diritto di difendere la “libertà di commercio” con tutti i mezzi. I capitalisti statunitensi dovevano comunque rimanere dei “creditori privilegiati”. Allo stesso tempo si doveva impedire che le navi da guerra europee scorrazzassero a loro piacimento lungo le coste americane. L’unica soluzione era diventare garanti anche per gli europei. Ai suoi collaboratori Roosevelt presentò la sua soluzione in questi termini: “we cannot afford to let Europe get a foothold in our backyard, so we’ll have to act as policemen for the West.” (“non possiamo permettere che l’Europa metta piede nel nostro cortile di casa, perciò dovremo diventare i poliziotti dell’Occidente”). La libertà di commercio trionfava: Washington da quel momento sarebbe intervenuta in prima persona in Sud America per difendere gli interessi economici di tutti i Paesi europei. Poco tempo dopo (1904) lo stesso Roosevelt inaugurò quello che è passato alla storia come il Corollario Roosevelt (Roosevelt Corollary). In base ad esso gli Stati Uniti dichiaravano che se un Paese del Centro o del Sud America avesse minacciato o messo in pericolo i diritti o le proprietà di imprese o di cittadini statunitensi, il governo degli Stati Uniti si sarebbe ritenuto libero di intervenire negli affari interni del paese “squilibrato” per riordinarlo, ripristinando i diritti e la proprietà dei suoi cittadini e delle sue aziende.In base a questo corollario gli Stati Uniti invasero tra il 1906 e il 1934 Cuba, il Nicaragua, Haiti e la Repubblica Dominicana, garantendo a colpi di fucile il libero commercio. Ma potremmo estendere questo Corollario come la base teorica sulla quale Washington basò il suo intervento per il rovesciamento di Allende in Cile nel 1973. Non a caso a il 21 aprile del 1975 Milton Friedman scrisse una lettera al generale Augusto Pinochet ricca di consigli neoliberisti per rendere il Cile un “paese moderno”. Se vi interessa la lettera e conoscete l’inglese potete scaricarla in formato PDF qui (se non conoscete l’inglese potreste sempre scrivere a Bisin che potrebbe tradurvela).
Qual’è la morale di questa vecchia storia? Ci sono due morali. La prima è che quando la tua moneta vale né più né meno della pizza di fango del Camerun di Cinzia Leoni gli investitori stranieri arrivano come mosche sulla merda e si portano via tutto quello che trovano. Quindi se pensate che uscire dall’Euro sia l’idea del secolo pensate al Venezuela del 1903. Se continuate a credere che sia una grande idea continuate a farvi del male con il guru di Pescara. La seconda morale è che i liberisti sono sempre liberali con i soldi degli altri. Amano la concorrenza e la competitività a patto che ad uscirne ricchi siano loro. E state certi che in nome del “libero commercio” e della abolizione dei “lacci e dei lacciuoli” sono stati, sono e saranno sempre disponibili a tirarvi una fucilata o, meglio, a farvela tirare da qualcuno pagato appositamente per farlo. D’altro canto è un fine del liberismo creare occupazione e quello del killer a pagamento (come Pinochet) è un mestiere vecchio come il mondo.
PS. Ho evitato il latino sperando che l’articolo non sia troppo colto per qualche mestrepolitano come Bisin.