Il fatto del giorno (o meglio della settimana e forse dei prossimi mesi) è il caso Snowden. Inutile ripercorrerlo perché, credo, sia sufficientemente noto. Potremmo riassumerlo rozzamente con il concetto che l’America ci spia. Viene subito da dire “ma è una novità?”. Molti anni fa Eugenio Finardi cantava una canzone che si intitolava “La CIA” ed una strofa con una rima più spericolata che baciata diceva “… la CIA ci spia sotto gli occhi della polizia”. Era il 1976. Probabilmente per una buona parte dei miei lettori si tratterà di una canzone sconosciuta, anche perché Finardi, ormai imbolsito dagli anni da tempo non la canta più.
Dunque che novità è mai avere la certezza che gli USA si fanno i fatti nostri. Semmai suonerebbe una conferma che negli ultimi trentasette anni ben poco è cambiato. In realtà è cambiato tutto.
Mentre nel 1976 la dottrina americana mirava ad esercitare un controllo politico in funzione antisovietica sull’Europa occidentale, oggi che lo spauracchio dei bolscevichi è tramontato le ragioni sono altre. Basta vedere la mappa delle intercettazioni. I più spiati sono i tedeschi e soprattutto le attività bancarie a Francoforte. Seguono poi le istituzioni europee e, a grande distanza, nazioni alleate ma poco affidabili come Francia, Italia e Spagna. La reazione statunitense sta seguendo la linea della minimizzazione. Secondo il Washington Post un non meglio identificato portavoce della NSA avrebbe dichiarato che “Anche se non abbiamo intenzione di commentare pubblicamente le attività specifiche di spionaggio, riguardo alla politica seguita abbiamo chiarito che gli Stati Uniti svolgono attività di raccolta d’informazioni all’estero nello stesso modo usato da tutte le nazioni”. Insomma: tutti spiano tutti e c’è poco di cui lamentarsi, stupirsi e indignarsi. Ed io mi guardo bene dall’indignarmi. Non per il motivo – risibile – che assomiglia al titolo dell’opera mozartiana “così fan tutte” – ma perché il caso Datagate o Snowden come volte chiamarlo ci dice qualcosa in più.
Ci dice – a mio avviso – che l’interesse della NSA si rivolge soprattutto verso l’economia che verso la politica. Ad essere spiato è il cuore del sistema economico-finanziario europeo. E da questa – quasi ovvia – deduzione ne consegue che il problema americano non è il timore che gli europei diventino comunisti o amici del terrorismo internazionale. Il problema americano è sapere prima quali saranno le decisioni europee in materia economico-finanziaria. E queste informazioni sono utili nell’ambito di una guerra che va avanti da anni: la guerra tra il dollaro e l’euro. Qualche tempo fa Sonja Ebron, presidente di Parindigene una impresa del non profit con sede in Florida, scrisse che “se i Paesi OPEC decidessero di richiedere il pagamento del loro petrolio in euro anziché dollari il risultato sarebbe un tonfo devastante per il dollaro e Wall Street. Un crollo che farebbe apparire la crisi del 1929 come una scommessa da cinquanta dollari ad un casinò”. L’amministrazione americana da Clinton, a Bush, a Barack Obama sa benissimo che il pericolo più grande per l’economia USA non è il terrorismo internazionale ma l’euro. L’euro in quanto valuta alternativa minaccia un sistema economico che si basa essenzialmente sul petrolio di cui il dollaro è dal 1945 la moneta di esclusivo riferimento. Per questo motivo tutti i paesi del mondo hanno accumulato riserve in dollari e rafforzato l’egemonia della valuta americana. Per questo motivo gli Stati Uniti hanno potuto e possono vivere al di sopra dei propri mezzi facendo pagare il proprio debito ai Paesi esteri. Il mercato del petrolio è nelle mani americane e su questo controllo gli americani hanno costruito da sempre il proprio debito.
Nel 2000 Saddam Hussein decise di convertire le sue vendite di petrolio dal dollaro all’euro. Si trattava di quel programma chiamato “petrolio in cambio di cibo”. Il dittatore iracheno – sconfitto nella prima guerra del Golfo – poteva commercializzare petrolio sotto l’attento controllo delle Nazioni Unite. Nel 2003 – con la seconda guerra del Golfo e la relativa occupazione dell’Irak – le autorità del nuovo regime instauratosi al posto di Saddam Hussein ritornarono sui propri passi e ricominciarono a chiedere dollari in cambio del proprio (si fa per dire) petrolio. Ora è abbastanza evidente che questo sistema economico finanziario chiamato “petrodollar warfare” è minacciato dall’euro. A dirlo non sono pericolosi comunisti o nazionalisti ma un certo William Clarck che ci ha scritto un libro e un tal David Spiro che, a sua volta ha pubblicato “The hidden hand of american egemony”. E se proprio volete approfondire gli aspetti della questione vi consiglio di leggervi “Currency Wars: The Making of the Next Global Crisis” di James Rickards, uscito nel 2011.
Tornando al caso Snowden-Datagate, non può stupirci che la NSA sia interessata alle banche europee e a quel che si decide nella BCE.
Io non sono un apologeta dell’Euro. Scorretevi i miei posti di un paio di anni fa. Ero e rimango convinto che la Grecia non sarebbe dovuta entrare nell’eurozona e che sarebbe dovuta uscirne. Ero e sono convinto che le politiche neoliberiste dell’UE siano stupide e dannose ed il rifiuto di affrontare la crisi in termini keynesiani sia un suicidio. Ma sono altrettanto convinto che questa crisi debba portare non alla abolizione dell’euro ma ad una sua radicale riforma. Perché la battaglia si combatte su questo terreno. Il guru di Pescara che da tempo si sforza di dimostrare che uscire dall’Euro significherebbe riacquistare sovranità monetaria può far fessi i suoi pretoriani che popolano acriticamente il suo blog (e forse l’aiuteranno ad ottenere il tanto agognato titolo di professore ordinario). Pensare che tornare alla lira ci restituirebbe sovranità all’interno di un conflitto globale tra dollaro ed euro è la più gigantesca idiozia che si possa partorire di questi tempi. E non è un caso che si invochino alcuni personaggi che in passato dissero che l’Euro era una cattiva idea. Non a caso per la maggior parte americani. Il problema non è che l’euro è cosa buona e giusta perché rappresenta (rappresenterebbe) la sommatoria delle economie europee e quindi sarebbe in grado di proteggerci dalla forza del mercato globale. Il problema non è monetario ma, semmai, politico. Si tratta di un problema di egemonie. Sino a quando il petrolio si comprerà in dollari la sovranità monetaria varrà esattamente come la carta sulla quale si stampano certi congressi internazionali di economia. Perché nessun Paese al mondo oltre gli Stati Uniti (neppure la Cina) ha una vera sovranità monetaria. L’euro è stato fatto male, la visione economicista ha prevalso su quella socio-politica, l’illusione che fatta la moneta il resto sarebbe venuto da sé come le salmerie delle armate napoleoniche è stata disastrosa. Ma nonostante tutto quello che possiamo dire dell’Euro, tutte le critiche sacrosante che possiamo fare, l’euro è l’unico atto di indipendenza del Vecchio Continente all’egemonia economica statunitense. A Washington lo sanno e per questo ci spiano ansiosamente.
Datagate, petrolio e euro
01 lunedì Lug 2013
Posted Economia
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