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Banca Centrale Europea, BCE, Berlusconi, FMI, Fondo Monetario Internazionae, Grecia, indignarsi, indignati, Italia, Moody's, neoliberismo, referendum, riforme, tasse
Non sono un bravo blogger. Forse perché non sono un blogger o forse perché non voglio diventarlo. Non riesco a seguire la teoria di un “post al giorno”. Cerco di scrivere solo quando c’è effettivamente qualcosa da dire. E di cose da dire ce ne sono molte. In questi giorni il dramma della Grecia sta diventando reale in tutta la sua gravità. La situazione è abbastanza chiara. Il governo greco sta svendendo ai privati (ossia ai tedeschi) tutto quello che può vendere e che abbia un minimo di valore: dalla gestione dell’acqua ai porti. Contemporaneamente la troika composta da Unione Europea, Fondo Monetario Internazionale e Banca Centrale Europea (il cui attegggiamento nonostante l’arrivo di Mario Draghi non cambierà) stanno prendendo tempo. Si dice che i casi sono soltanto due: bancarotta (si usa il più rassicurante termine “default”) o ristrutturazione del debito. A Berlino non vogliono né l’una né l’altra e preferiscono pensare di poter usare fino in fondo la ricetta neo-liberista delle privatizzazioni per sconvolgere e ricostruire l’economia greca. Una riostruzione secondo un modello che ha causato il fallimento dell’Argentina nel 2001, che aveva portato l’Ecuador sul baratro e diffuso povertà ovunque. I costi sociali di una operazione del genere sono indifferenti a tutti. Attraverso la crisi globale si sta arrivando alla pien realizzazione del capitalismo post-fordista nel quale le persone sono solo degli “asset” e le condizioni sociali ininfluenti per qualsiasi valutazione. I greci vengono accusati di essere stati delle cicale e su di loro si getta il peso delle responsabilità. Ma i greci non sono i responsabili di quanto sta accadendo, come non lo sono i portoghesi, gli irlandesi, gli spagnoli o noi italiani. Negli ultimi anni il capitale internazionale – incarnato dalla fallita Lehman Brothers – ha espanso ai paesi sviluppati la tecnica omicida usata per i paesi in via di sviluppo. Non c’è nulla di nuovo sotto il sole: questa non è una crisi ma una fase di una lotta ingaggiata din dagli anni Settanta. Quando le economie dei Paesi sviluppati iniziarono a rallentare la ricetta che fu adottata per invertire la tendenza fu quella di ridurre in tutto il mondo il costo del lavoro. Per far questo il modo più semplice era quello di aprire il più possibile i mercati, in una parola globalizzare il più velocemente possibile l’economia. Globalizzare significava avere accesso alla manodopera del pianeta, anche a quella a costi ridicoli della Cina. Per controllare e gestire un sistema globalizzato occorreva un forte sistema bancario e finanziario. Così in modo sempre più pervasivo le leve economiche sono passate dall’industria reale al capitale finanziario. Il vantaggio è che il capitale finanziario è indipendente da ciò che si produce e si può spostare velocemente da un Paese all’altro seguendo le opportunità migliori. L’unico problema in questo meccanismo è che (i dati statistici lo dimostrano) i salari sono costantemente diminuiti in tutto il mondo. Se la gente non ha soldi in tasca chi comprerà i prodotti? La ricetta è stata semplice e micidiale: concedere a tutti – ai ricchi e ai poveri – la possibilità di indebitarsi. Così per tutti gli anni ’80 e ’90 dello scorso secolo si è semplicemente aperto il credito per mantenere alti i consumi. Questo trucco ha fatto uscire i Paesi sviluppati dalla crisi degli anni Settanta ma ha creato una situazione esplosiva. Per mantenere in equilibrio la situazione occorreva che le persone continuassero a contrarre debiti. Per questo motivo anno dopo anno le persone e gli Stati sono stati spinti a chiedere prestiti in continuazione e le banche hanno continuato a prestare soldi in quantità. L’esplosione della crisi si è verificata quando il sistema di equilibrio è saltato negli USA con la fine della bolla immobiliare. Cosa è la bolla immobiliare? Un meccanismo tutt’altro che difficile. Le banche prestavano mutui sino al 120% del valore della casa anche senza garanzie. Tutti si trovavano improvvisamente in grado di acquistare una casa. Nasceva un business interessante per molti e molti avevano voglia di partecipare. Più gente c’era disponibile a indebitarsi per comprare una casa più case venivano costruite e vendute. Ovviamente però il mercato immobiliare non è infinito e se si costruiscono troppe case c’è più offerta che domanda. E quando l’offerta supera la domanda i prezzi diminuiscono. Molto semplicemente chi aveva contratto un debito per acquistare una casa si è trovato nella situazione di pagare mutui di molte volte superiori al valore della casa stessa. Perché nel frattempo le case costavano sempre meno. Perché pagare dieci volte il valore di una casa si sono domandati gli acquirenti americani? Così con grande semplicità le persone hanno cominciato a non pagare più le rate dei mutui, le banche – che avevano come unica garanzia quelle case svalutate – ne sono tornate in possesso con perdite enormi. Il problema diventava ora salvare le banche perché se le banche fossero fallite sarebbe crollato l’intero sistema. Per salvare le banche l’unico sistema era l’intervento degli Stati ossia degli stessi cittadini attraverso aiuti alle banche. Così le banche hanno scoperto una opportunità nuova ossia fare affari non più prestando soltanto soldi ai cittadini ma agli Stati. In Europa la crisi è arrivata in una situazione particolare. Con l’introduzione dell’Euro si è innescata una bomba a orologeria. L’Euro è stato creato modellandolo sulle economie forti (Germania in testa) che hanno aumentato la loro produttività con un lungo periodo di compressione dei salari. Questo significa che mentre la Germania diventava sempre più competitiva i Paesi deboli come la Grecia diventavano meno competitivi. La competitività non si è combattuta sul piano dell’innovazione ma solo sul piano della diminuzione dei salari. I Paesi – come da noi in Italia – che recuperavano competitività svalutando non potevano più farlo perché erano dentro l’Euro e non avevano più il controllo della loro moneta. La conseguenza è evidente: la perdita di competitività produce un aumento del deficit e innesca la necessità di trovare dei mezzi per finanziarlo. Deficit e debito pubblico diventano il terreno sul quale si gioca la sopravvivenza. Così i Paesi che non erano nelle condizioni di entrare nell’Euro – e che comunque sono stati fatti entrare grazie a bilanci truccati noti a tutti, tedeschi compresi – hanno dovuto cercare sul mercato fonti di finanziamento. Sia la Grecia, sia l’Irlanda, sia il Portogallo, la Spagna o l’Italia avrebbero dovuto, subito dopo essere entrati nell’Euro, creare un sistema semplice, equo ed efficace per tassare i cittadini. Solo grazie a delle riforme fiscali ben fatte si sarebbe potuto ridurre il deficit e l’indebitamento. Ma per fare una riforma fiscale sarebbero occorsi governi non corrotti, industriali intelligenti, un livello di demagogia molto basso. Riforme fiscali ben fatte avrebbero fatto in modo di far pagare le tasse a tutti abbassando il peso fiscale sui cittadini e aumentando la competitività. Nessun governo dei Paesi oggi in difficoltà ha scelto questa via. Si è preferito farsi prestare i soldi che servivano e non tassare le rendite finanziarie. Il motivo è semplice: chi prestava i soldi agli Stati erano proprio quelle banche che guadagnavano dalle rendite finanziarie. La favola che l’economia neoliberista ha sempre spacciato è che si devono tenere le tasse basse per rilanciare l’economia. Quel che i neoliberisti non dicono è che le tasse si possono tenere basse quando tutti le pagano, comprese le banche. Cosa chiedono in cambio le banche quando prestano denaro agli Stati? Chiedono due cose: privatizzazioni e deregolamentazioni. Chiedono, in altri termini, la possibilità di comprare pezzi dello Stato: sanità, istruzione, trasporti, comunicazioni. Chiedono di non essere disturbate da leggi troppo strette che ridurrebbero i profitti. Contemporaneamente le banche – compresso e soprattitto il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Centrale Europea – chiedono austerità. In altri termini chiedono che i salari rimangano bassi per tenere alti i profitti e aumentare la competitività caricandola sulle spalle dei cittadini. Austerità significa abbassare i servizi del welfare. Oggi chi paga le tasse crede che queste servano a fornire servizi sociali. In realtà grazie alla ricetta neoliberista le tasse servono a pagare i debiti con le banche e i servizi sociali, l’educazione, i trasporti per i cittadini etc. aumentano i loro prezzi scaricandoli sugli stessi utenti perché ricevono meno denaro. Chi paga le tasse si trova a pagare poi di tasca propria i servizi che pensa di aver già pagato. Perché nell’economia neoliberista lo Stato non serve più per redistribuire il reddito e mantenere una parvenza di eguaglianza minima tra i cittadini: serve a favorire il capitale finanziario. In questa logica i Paesi meno ricchi dell’Eurozona, Grecia in testa, hanno evitato di fare le riforme fiscali e hanno chiesto denaro ai grandi centri finanziari che sono stati felici di concedere tutti i soldi che venivano chiesti. Oggi non si discute se slavare la Grecia o no, si discute se salvare le banche che hanno prestato i soldi alla Grecia. I prestiti di salvataggio non aiuteranno i greci perché passeranno direttamente nelle mani delle banche che negli anni passati hanno prestato soldi ai greci. Greci che diventeranno sempre più poveri, spagnoli, portohìghesi, irlandesi, italiani che diventeranno sempre più poveri.
Pochi si sono accorti di un fatto curioso di questi ultimi giorni, o meglio di due giorni fa. Moody’s ha motivato la decisione di valutare se declassare il rating sul debito italiano anche con la bocciatura della gestione privata dell’acqua arrivata col referendum, perché secondo Moody’s non privatizzare l’acqua domostrerebbe la difficoltà di fare le riforme in Italia. A Moody’s e a tutto il mercato finanziario il governo Berlusconi va benissimo perché continua a seguire la ricetta neoliberista che li fa arricchire. Se domani per miracolo un governo introducesse una vera tassazione delle rendite finnziarie Moody’s non sarebbe felice, non è la nostra capacità di fare riforme che preoccupa Moody’s, è la nostra capacità di fare resistenza alle logiche finanziarie che stanno facendo morire la Grecia. Conviene cominciare a indignarci anche noi per non indignarci quando sarà troppo tardi. Lasciate stare Pontida, le scemenze del governo Berlusconi-Scilipoti. Indignatevi prima di essere strangolati.