In una recente trasmissione televisiva, in un servizio sulla situazione ad Haiti, veniva intervistato un imprenditore sud coreano che dirige una fabbirca nell’isola caraibica. L’imprenditore spiegava che il fatto che i salari fossero (indecentemente) bassi, che gli straordinari fossero obbligatori, che la sicurezza fosse scarsa e la sindacalizzazione nulla era assolutamente inevitabile. La teoria esposta sosteneva che anche la Corea del Sud negli anni Cinquanta del Novecento, di fronte alla povertà, si era rimboccata le maniche e i lavoratori avevano rinunciato a chiedere denaro e diritti per far crescere il Paese. In altri termini diritti e giusto compenso possono arrivare solo dopo che una generazione precedente abbia costruito il benessere. Oggi alla Fiat di Pomigliano d’Arco i lavoratori votano per accettare o meno un accordo con l’azienda. A guardarlo bene si tratta di un accordo poco economico e molto politico. (per farsi una idea diretta il testo dell’accordo qui: http://www.repubblica.it/economia/2010/06/14/news/il_testo_dell_accordo_su_pomigliano-4840160/ ). La logica è simile a quella dell’imprenditore coreano ma temporalmente inversa: non esistono diritti acquisiti, in base alla situazione le garanzie ottenute dalla generazione precedente possono essere sospese o abolite. A Pomigliano d’Arco come ad Haiti la proposta è un prendere o lasciare. O l’accettazione di condizioni di lavoro volute dalla organizzazione aziendale o la perdita del lavoro. Sarebbe demagogico accusare Marchionne di cattiveria. Marchionne fa il suo lavoro. Tuttavia Marchionne può fare questa mossa se chi governa accetta implicitamente la sua logica e concorda sul fatto che la scelta è tra la riduzione dei diritti e la perdita del lavoro. Sarebbe altrettanto ingenuo vedere il male assoluto nel ministro competente Sacconi che fa anche lui il suo lavoro. Il governo italiano è in linea con la teoria di Marchionne perché – come tutti i governi europei – non ha più alcuna idea e non crede di poter influire in un modo o nell’altro nella macchina dell’economia. Il dimenticato Marx scriveva più di 150 anni fa che “i governi sono i comitati d’affari della grande borghesia”, oggi alla borghesia si è sostituito un capitalismo finanziario che terrorizza i governi. Basta il giudzio di Moody’s per gettare un Paese nella crisi economica. E le politiche economiche dei governi (tutti i governi) mirano non tanto ad ottenere dei risultati sul lungo periodo quanto a eseguire degli aggiustamenti che soddisfino il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Aggiustamenti che hanno come unica ricetta: tagliare i programmi sociali, aumrntare direttamente o indirettamente le tasse, ridurre i salari. In questo clima lo spazio per i diritti di chi lavora (oggi degli operai di Pomigliano, domani di qualsiasi altra categoria) vanno ridotti. La teoria è: vendi i diritti in cambio dei soldi (pochi). Se hai il mutuo, se hai figli e nessuna prospettiva alternativa a questa logica non puoi che piegarti. Il problema è che non si tratta di ina logica che interessa soltanto il lavoratori di una azienda italiana, si tratta di un nuovo corso. Si tratta di una nuova mentalità che alla fin fine punta a generare altro capitale che a sua volta sarà impiegato nel circuito finanziario. Non è importante se la Fiat produrrà 300.000 o 500.000 Panda a Pomigliano. Ciò che è importante è che se lo farà attraverso una modifica dei diritti dei lavoratori avrà la possibilità di accedere ad altri fondi finanziari mantenendo inalterato il circuito quasi infernale che ha trasformato il capitalismo della produzioe in capitalismo della finanza.
Il capitalismo ruggente
22 martedì Giu 2010
Posted Economia
in≈ Commenti disabilitati su Il capitalismo ruggente