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bancarotta, capitalismo, default, emigrazione, Finanza, Grecia, immigrazione, Irlanda Portogallo Ue crisi economica, Portogallo, titoli di stato, Unione Europea
Sino ad ora abbiamo parlato dei Paesi che hanno chiesto aiuto per i loro conti dissestati. Non ci siamo ancora domandati cosa Grecia, Irlanda e Portogallo dovranno dare in cambio. Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale non sono dei samaritani. Tutti sanno che nessuno dei tre Paesi sarà in grado di restituire il denaro prestato. Ma il problema non è il denaro, il problema è la normalizzazione dell’Europa. Grecia, Irlanda e Portogallo sono tre nazioni a sovranità limitata. In cambio dei soldi dovranno accettare tagli alla spesa pubblica e nuove tasse. Il deficit non diminuirà per il semplice fatto che l’economia sarà lentamente strangolata. Probabilmente è da prevedere che il deficit aumenterà ulteriormente. Apparentemente sembra una follia. Ma a guardare bene c’è una logica sottile e spietata. L’obiettivo per la Grecia e l’Irlanda (ma anche più avanti per il Portogallo) è il default parziale. Un default parziale è il rimborso non integrale dei titoli di stato alla loro naturale scadenza. Per essere più chiari: se ho acquistato titoli di stato irlandesi, greci o portoghesi alla loro scadenza qualcuno mi dirà: “caro signore, ci dispiace ma non abbiamo i soldi per mantenere la promessa che le abbiamo fatto. Perciò si accontenti di prendere il 50% di quello che si aspettava di prendere”. Per esemplificare ancora di più: se ho comprato 100 euro di titoli di stato greci che garantiscono ad oggi corca il 14% di interesse proprio perché non li vuole nessuno, alla scadenza non riceverò 114 euro ma 57. La perdita per l’acquirente non è totale ma parziale. Default è la parola meno aggressiva per “bancarotta”. Il default parziale è dunque una bancarotta a metà, pilotata. I soldi che i Paesi in crisi hanno ricevuto non servono per risollevare le economie e rilanciarle. Quei soldi non sono entrati nelle casse degli Stati: hanno salvato le banche che degli Stati erano creditori. Banche che – ovviamente – non sono le banche statali greche, portoghesi e irlandesi ma le stesse banche dei Paesi che hanno prestato i soldi. Quindi le operazioni di salvataggio in realtà non salvano nessun paese in crisi, evitano soltanto il fallimento di banche tedesche, francesi o inglesi. Perciò mettiamoci in mente un punto che i media non illuminano: sono le esposizioni bancarie che determinano se una nazione verrà attaccato dagli speculatori finanziari in combutta con le agenzie di rating. Come ragiona lo speculatore? In primo luogo controlla quanto le banche tedesche, francesi, inglesi sono esposte verso un Paese. Più l’esposizione è alta più è proobabile che arrivino i soldi. Il meccanismo è semplice: una banca tedesca è molto esposta – per esempio – in Portogallo. Se il Portogallo andasse in bancarotta farebbe fallire anche la banca tedesca. A Berlino non piace vedere le proprie banche saltare, sarebbe una esportazione della crisi. Quindi i tedeschi intervengo, prestano i soldi ai portoghesi soltanto nominalmente, in realtà danno i soldi alle proprie banche esposte. Poi saranno greci, irlandesi e portoghesi con i loro sacrifici quotidiani (che dureranno anni) a ripagare lo Stato tedesco.
Con il default parziale i Paesi indebitati avranno un momentaneo sollievo ma perderanno qualsiasi credibilità nelle emissioni future. Il che è ovvio: prestereste ancora dei soldi a qualcuno che non vi ha restituito quanto doveva la volta precedente? I risparmiatori non arrivano a questo punto di masochismo. Non poter vendere titoli di Stato costringerà i Paesi in crisi a tirare ancora di più la cinghia e a dipendere ancora di più dai Paesi più ricchi dell’Unione. La partita si sposterà dal piano economico a quello politico. Essendo così economicamente legati ai propri creditori questi Paesi saranno anche politicamente “prigionieri”. Questo significa che i settori strategici di ciascuna di queste economie saranno definitivamente controllati da altri. Lisbona, Atene, Dublino per i prossimi dieci o venti anni saranno totalmente legate alle scelte politiche e macroeconomiche decise a Londra, Berlino e Parigi. Altri decideranno in quale direzione dovranno evolvere le loro economie e c’è da scommettere che sarà una direzione che renderà questi Paesi mercati per merci altrui, riserva di lavoro a buon mercato. Non mi stupirei nel giro di cinque o sei anni di vedere aumentare migranti all’interno dell’Unione: migranti a basso costo di nazionalità portoghese, greca, irlandese. Esattamente come ora è la Romania che esporta la sua unica risorsa strategica: i lavoratori. Senza troppi clamori l’immigrazione dai Paesi extraeuropei comincerà a contrarsi a favore dell’emigrazione intraeuropea. Una emigrazione più facile da far rientrare al proprio paese di provenienza, meno problematica dal punto di vista della gestione, meno “diversa” dal punto di vista dell’integrazione. Ancora una volta spero di sbagliarmi ma ho dei dubbi che il quadro futuro sia tanto distante da questo.