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Adolfo Scotto di Luzio, Andrea Romano, Berlusconi. Tangentopoli, Casini, Cinzano, Ferrari. Diego della Valle, Fondazioni, Giuliano da Empoli, Irene Tinagli, ItaliaFutura, Montezemolo, Romiti, Rutelli
Lasciamo per un momento le teorie economiche per calarci nel quotidiano. Poniamoci una domanda: cosa c’è dietro l’angolo una volta che Silvio Berlusconi (per crollo politico, per raggiunti limiti di consunzione, o per qualsiasi altra ragione) terminerà la sua (ormai lunga) stagione di nazionalpopulista? Le alternative si creano attraverso dei luoghi che funzionano da collanti aggregativi. Si tratta di una conseguenza della irrilevanza dei partiti politici. Da Tangentopoli in poi i partiti intesi in senso tradizionale (soprattutto il centro sinistra) hanno cercato di proporre all’elettorato dei “non politici” presi dalle fila della cultura nel migliore dei casi fino, a scendere, ai guitti da schermo televisivo. L’altra possibilità – coltivata del centro destra – è stata quella di creare un “non partito” senza tessere, senza sedi, senza momenti di di dibattito interno infarcito di “volti noti”. A destra come a sinistra i partiti nel senso antico del termine si sono ritirati dall’azione politica concentrandosi sui leader. Il risultato è stata la diminuita capacità aggregativa dell’istituzione partito che per tutto il XX secolo era stato il luogo per eccellenza nel quale fare politica.
Il passo successivo al quale siamo assistendo è una diretta conseguenza: la creazione di “fondazioni”. Il processo è abbastanza semplice, con ingredienti sempre uguali: occorre un leader politico di professione che un bel giorno si inventa un “laboratorio”, gli da un nome più o meno azzeccato e costruisce così un luogo di aggregazione diverso dal partito di appartenenza. La moda è iniziata nel 1999 quando d’Alema e Giuliano Amato costituirono la fondazione Italianieuropei, a ruota Farefuturo di Gianfranco Fini, Italia decide di Violante, Magna Carta di Marcello Pera e Gaetano Quagliarello; Formiche di Marco Follini, Liberal di Ferdinando Adornato, Nuova Italia di Gianni Alemanno, Europa e Civiltà di Roberto Formigoni, Medidea di Giuseppe Pisanu.
Tutto questo fiorire di think-thank modifica il classico correntismo della politica italiana innovandolo perché le Fondazioni sono molto più libere (oltre che per il fatto che non hanno nessun obbligo di trasparenza economica) di essere trasversali e di colloquiare tra loro al di là dei partiti e degli schieramenti di appartenenza. Caso eclatante di questo operoso dialogare libero da steccati ideologici è ad esempio l’incontrarsi ad Asolo della Fondazione Italianieuropei e di Farefuturo. Di fatto una lunga chiacchierata tra D’Alema e Fini liberi dai vincoli di schieramento. Può essere un fatto positivo? Sì e no. Sì se si pensa che la forma partito sia superata, no se si pensa che il luogo della politica dovrebbe essere un partito. Comunque la si pensi l’invenzione delle Fondazioni sta diventando centrale nel panorama politico dell’Italietta. Tanto più centrale quanto più il “partito-non-partito” di Silvio Berlusconi sembra perdere colpi. Gli unici che di Fondazioni non vogliono sentirne parlare sono i Leghisti. La ragione è abbastanza evidente: non ne hanno bisogno perché sono di fatto un partito trasversale che ha raccolto nel suo bacino elettorale del nord uomini provenienti un po’ da tutti i partiti decomposti negli anni Novanta. In più la Lega dal punto di vista organizzativo assomiglia (anche se l’idea che ne sia una costola è una delle peggiori sciocchezze dalemiane) al PCI di lontana memoria.
Questa premessa sulle Fondazioni in generale ci è servita per introdurre il cambiamento che si sta silenziosamente verificando all’interno del fenomeno. Sta nascendo la “Fondazione ombra”. Ossia una Fondazione che non si accontenta più di dialogare trasversalmente ma che funziona come incubatrice del cambio del potere. Questa trasformazione si chiama Italia Futura ed è la creatura di Luca Cordero di Montezemolo. In puro stile aziendale è nata “comprando” persone già esperte (dotate di know-how direbbe Montezemolo). Basta guardare il sito della Fondazione per trovarci Andrea Romano, Irene Tinagli, Giuliano da Empoli, Adolfo Scotto di Luzio, ecc. Se si guarda il pedigree di questi uomini e donne si ha una fotografia di un’area di provenienza moderata, con una spruzzatina di rosa pallido di una sinistra tanto annacquata da stare bene con tutto. Insomma una fotografia che si sposa bene con i legami amichevolmente intensi con una testa come “Il Riformista”. Ma dentro Italia Futura c’è anche Giulia Innocenzi che tutti gli spettatori di AnnoZero hanno visto a fianco di Santoro da un paio d’anni. Si potrebbero fare tanti altri nomi ma tutti ci direbbero la stessa cosa: Italia Futura non è una Fondazione come le altre, non è un laboratorio ideativo e basta. Sembra essere l’incubatore per il governo che verrà, appunto per una Italia del futuro.
Ma cosa dice Italia Futura? A primo colpo lasciano un po’ perplessi i temi. Ad esempio la campagna “Maestri d’Italia” che, preso atto della decadenza del prestigio dei maestri elementari italiani, vuole restituire la giusta dignità perduta a questi educatori. Collodi, maestrine dalla penna rossa, paternalismo industriale? Sì sembrerebbe un vecchio tema cucinato in salsa da “padroni del vapore”. Non può essere questo il tema di base, andiamo oltre. Oltre dove? A parte dei vuoti vaneggiamenti sulla importanza della cultura come collante di un Paese non c’è molto altro. D’altro canto chi potrebbe sostenere a voce alta che la cultura fa male alla pelle? Siamo tutti contro la cultura, siamo tutti contro la droga. Peccato che all’una si levino i fondi e all’altra non si sia mai fatta una lotta seria. Se dunque i discorsi di Italia Futura sembrano degni di un temino scolastico a cosa serve questa Fondazione? Perché arruolare tante teste d’uovo per salvare i maestri elementari?
Perché non è questo né il momento di parlare di cose serie né il momento di elaborare proposte alternative. Italia Futura sembra un comodo salotto dove ospitare persone, parlare e trovare i punti d’accordo, il resto verrà. Parlare di cosa? Del dopo Berlusconi e quindi plasmare i consensi intorno ad un nome, quello appunto di Luca Cordero di Montezemolo.
Dalla sua Montezemolo ha qualche vantaggio. A differenza di Berlusconi ha un rapporto intenso ma meno urlato con le donne. Sandra Monteleoni, Barbara Parodi, Edwige Fenech, e Ludovica Andreoni si sono succedute al suo fianco. Il pedigree professionale è all’altezza di un rampollo collaterale di casa Agnelli. Incidenti di percorso rilevanti due: quando da direttore del comitato organizzatore di Italia 90 promosse alcune discutibili infrastrutture poi rivelatesi inutili e dannose per le tasche degli italiani (chi abita a Roma ricorderà l’Air Terminal di Roma Ostiense e la stazione ferroviaria di Farneto). Il secondo scivolone avvenne nel 1985. In una intervista a “La Repubblica” Cesare Romiti disse “Abbiamo pescato, in Fiat, un paio di persone che pretendevano danaro per presentare qualcuno all’Avvocato. Uno dei due l’abbiamo mandato in galera, l’altro alla Cinzano”. Alla Cinzano ci andò Montezemolo che secondo Oliviero Beha ammise “È vero, ho sbagliato, per favorire il contatto con Gianni Agnelli mi sono fatto dare ottanta milioni nel cofanetto di un libro vuoto di Enzo Biagi”.
In più Montezemolo – piccoli scivoloni esclusi – ha l’aura mistica del vincente che la Ferrari gli ha donato e un modo di porgere assai meno greve dell’attuale presidente del consiglio. Ma, soprattutto Montezemolo ha un elenco di contatti e amicizie importanti come lui. Negli ultimi tempi Montezemolo si è accreditato come un fustigatore di costumi, un Catone schierato contro la casta politica. Dalla sua ha anche un duello con Berlusconi che ebbe luogo a Vicenza nel 2006. Duello indiretto perché Berlusconi se la prese con Diego della Valle ma che provocò in Confindustria uno scollamento evidente tra i piccoli imprenditori descamisados di Berlusconi e la élite dell’industria italiana schierati dietro Montezemolo (e, ovviamente, la Fiat).
Gli ingredienti ci sono tutti dunque. Un centro-sinistra spappolato e incapace di fare opposizione, un IDV che ogni mattina ringrazia il cielo che ci sia Berlusconi che ne giustifica l’esistenza, un magmatico centro fatto di Casini e di Rutelli che sta alla finestra per capire in quale portone conviene infilarsi, una Lega pronta ad accordarsi con chi il federalismo (e forse oltre) può garantire, un Fini a bordo di una nave da pirata, un Berlusconi in inesorabile calo e in irrecuperabile delirio di onnipotenza. Dalle parti del PD i soliti noti D’Alema e Bersani che sotto l’idea di “responsabilità” nascondono il più semplice concetto di “incapacità”.
I prossimi mesi ci diranno se l’opzione Montezemolo avrà un futuro o rientrerà nelle parabole discendenti in stile Mariotto Segni. In ogni caso il partito di Confindustria è dietro l’angolo.