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E di queste ore – ed è prevedibile che sarà il tema del prossimi giorni – la posizione assunta da Napolitano rispetto alla situazione politica. In buona sostanza il Presidente riafferma la sua contrarietà ad un voto anticipato, una riforma elettorale in senso maggioritario, l’inizio delle riforme costituzionali. Contemporaneamente fa capire in modo chiaro che, in caso contrario, potrebbe considerare le dimissioni. Questa ennesima esternazione nasce dalla difficile congiuntura nella quale si trova l’intero castello costruito all’indomani delle elezioni. È, infatti, venuto meno il disegno di creare un governo di larghe intese più o meno sul modello tedesco. Il “mostro” uscito dal disegno di Napolitano aveva due fragilità: tradiva gli elettori sia del PDL che del PD, poiché ambedue i partiti si erano presentati alle urne accentuando le incompatibilità e non certo i possibili punti di accordo. Soprattutto, però, la fragilità era dovuta al disegno fondamentale di tagliare fuori il Movimento Cinque Stelle. Se è vero che il M5S riesce benissimo da solo a marginalizzarsi è pur vero che non è credibile (nel pieno della stagione di crisi politica) mettere all’angolo il 25% dell’elettorato che ha votato Grillo. Appare evidente che il governo Letta sino ad ora ha fatto bene soltanto nelle public relation con Bruxelles, ed ha invece saputo far molto poco di effettivo.
Insomma il disegno di Napolitano è crollato. Ma sarebbe miope pensare che il crollo sia dovuto essenzialmente alle vergognose manovre di Berlusconi. A mio avviso la debolezza di Napolitano e dei suoi progetti è anzitutto un problema di legittimità. Beninteso non legittimità giuridicamente intesa ma legittimità politica. Napolitano è un Presidente di “terza scelta” o meglio di scelta disperata dopo l’affondamento di Marini, di Prodi e l’incomprensibile rifiuto del PD di convergere su Rodotà (che sarebbe stato il miglior presidente possibile). E quando diciamo di “terza scelta” abbiamo già detto tutto. Le condizioni stesse nelle quali si è realizzata la sua elezione ci si sarebbe attesi un profilo meno alto. Viceversa quello che è nato è – più che un governo Letta – un governo del Presidente. A tutto questo si è aggiunto il macigno della decisione della Corte Costituzionale intorno al Porcellum. Anche in questo caso non si può parlare di Parlamento giuridicamente illegittimo ma certamente si può parlare di illegittimità politica e morale. In questo quadro la pretesa di Napolitano di mandare avanti questo governo con l’argomento che “l’Europa ci guarda” è assolutamente sconcertante. Come può un Parlamento che, se pure nel pieno delle sue funzioni, è stato eletto in base ad una legge incostituzionale toccare la già violentata Costituzione? A mala pena questo governo potrebbe varare una legge elettorale anche se – sempre per una questione di etica politica – a mio avviso dovrebbe dimettersi domattina facendoci votare con il Mattarellum.
A questo punto la posizione di Napolitano non sembra più sul confine delle sue prerogative costituzionali, sembra che questo confine sia stato sorpassato. Non è possibile che un Presidente della Repubblica indichi le linee guida di un governo: non è il suo compito. Non è possibile che un Presidente della Repubblica eletto in un marasma imponga al Paese la propria linea utilizzando un governo eletto con una legge incostituzionale. In più la non velata minaccia di presentare le dimissioni ha il pessimo sapore di un ricatto, una sorta di “muoia Sansone con tutti i filistei”.
Per questo motivo occorrerebbe che a Sinistra ci si interrogasse seriamente. Non fa certo piacere che a contestare con maggior virulenza Napolitano siano Berlusconi e Grillo. Sarebbe però sbagliato – a questo punto – difendere l’indifendibilità di Napolitano perché chi lo osteggia non ci piace. Il mantra della stabilità che Napolitano ripete senza sosta è una foglia di fico spalmata di ipocrisia. La mai nata Seconda Repubblica è agonizzante, delegittimata, impresentabile. Per puntellarla il Presidente ha assunto un ruolo di protagonista che – a mio parere – la Costituzione non gli affida. Perciò stare dalla parte di Napolitano a tutti i costi non è possibile e non sarebbe un esercizio di responsabilità.
Occorre votare con una legge elettorale che ridia il senso della scelta ai cittadini. Occorre una classe politica pienamente legittima che faccia le scelte, anche dure, che occorre fare. Il senso del governo di un Paese non sta nel piacere alle capitali europee ma nel servire i cittadini che l’hanno espresso. Lo spauracchio agitato da Napolitano, e cioè che il voto non darebbe stabilità è sbagliato ed offensivo. Il popolo italiano non può essere considerato un “minus habens”, un minorenne che va consultato solo quando è comodo a delle istituzioni moralmente terremotate. Il tempo è poco. Lo scollamento tra cittadini ed istituzioni si allarga giorno dopo giorno. Aspettare di più significa dar ragione a coloro che cominciano a pensare che sarebbe meglio uno “stato d’eccezione”, una dittatura straordinaria magari configurata come un gabinetto di salvezza nazionale. Non c’è tempo.
Se per salvarci si dovrà perdere Napolitano e trovarci un altro Presidente della Repubblica eletto dopo un impeachment o dopo dimissioni volontarie del predecessore, credo che riusciremo a farcene tutti una ragione.