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In un altro post avevo sostanzialmente detto due cose:
- nessuno ci ha imposto di aderire all’Euro (anzi volevano tenerci fuori)
- il Trattato di Maastricht non era un protocollo segreto o una trappola: abbiamo accettato tutto e nessuno ci puntava la pistola alla tempia
Di questi due punti avevo cercato di dare conto rifacendo un po’ di storia del periodo decisivo ossia tra il 1996 e il 1997. Ho notato che nel merito nessuno mi ha contestato niente. Invece ho visto commenti del tipo “non ha fornito dati” e altre facezie più o meno lunari. Ma nessuno mi ha ribattuto che no, nell’Euro ci hanno trascinati a forza mentre scalciavamo per non entrarci. Nessuno mi ha detto che la nostra adesione sia stata provocata grazie ad un subdolo imbroglio e che ci han venduto pomodori spacciandoli per pere. I più pacati han scritto “si però quella è storia vecchia” come dire “non conta più”. Allora, poiché nessuno ha mosso dei rilievi con qualche sostanza, mi tengo i due punti e proseguo da quelli. E così mi invento un immaginario interlocutore che vuol divorziare.
Caro amico, il fatto di non prendere atto che sei stato tu a volerti sposare potresti ritenerlo un particolare da poco. Potresti dire “sì mi sono sposato ma lei era magra, allegra, si faceva all’amore tre volte al giorno per 260 giorni all’anno, mi faceva vedere la Coppa dei Campioni, potevo uscire con gli amici e cucinava benissimo. Poi però è cambiato tutto e adesso pesa novanta chili, mi rompe le scatole da mane a sera, non cucina più ed è pure depressa”. Vale la regola che non c’è nulla “per sempre” e che se le cose cambiano possono cambiare anche i patti e i contratti. Nulla, si dice è irreversibile.
Anche se eri capace di intendere e volere e hai detto “sì” senza alcuna costrizione, se senti che la vita di coppia non funziona più hai tutto il diritto di divorziare. Anzi fai bene, non ho obiezioni. Vai da un avvocato, studia bene la questione e fai i tuoi passi.
Però occhio: nel Trattato che hai firmato, all’articolo 50 sta scritto che se divorzi da lei, divorzi pure da altre cose. Mi dici che lo sai. Occhio però che la cosa avrà un costo. Ma tu mi rispondi che ti sei fatto tutti i calcoli e che – sì certo sei cosciente che qualcosa dovrai pagare, che farai fatica – però mi dici anche che è meglio soffrire con la speranza di una vita migliore che rimanere lì a soffrire ogni giorno senza speranze. Benissimo: vai e fai, io non sto qui ad impedirti nulla né ti remo contro.
Ti dico solo una cosa: stai bene attento a non scaricare sulla relazione che stai chiudendo cose che non c’entrano nulla.
Invece è proprio quello che fai generando, giusto per esemplificare, la sindrome della libreria e del negozio di alimentari.
La sindrome della libreria funziona più o meno nel modo che segue. Hai venduto libri per quarant’anni. Sei stato coraggioso a farlo in un Paese come il nostro. Ci hai campato più o meno bene. A partire dal 2008 hai avuto una costante flessione delle vendite mentre i tuoi costi (affitto del negozio, elettricità, etc. etc.) continuavano a salire. Alla fine non ce l’hai fatta più. Hai venduto. Ma ti porti dentro l’idea del fallimento fino al punto che ti autocolpevolizzi e entri in depressione. Poi però scopri che forse non è colpa tua che gli alamanni hanno congiurato ai danni della Patria, hanno passato il Piave e ti hanno rovinato. Colpa degli alamanni e della loro maledetta moneta (nella quale sei entrato tu nel pieno delle tue facoltà mentali). L’equazione diventa allora chiara e come nel film dei Blues Brothers (che si cita tanto ultimamente) “hai visto la luce”, esci dalla depressione e corri a “rifare la banda”. Naturalmente neppure per un attimo ti passa per la mente che pian piano negli anni è arrivato in Italia un signore che si chiama Amazon, che prima c’era un altro che si chiamava IBS. Non ti è venuto in mente che questi signori ti spediscono a casa i libri che vuoi, li scontano più di te e trovano tutto in dieci giorni. Non ti è venuto in mente che il tipo di mercato in cui navigavi ti è cambiato sotto il posteriore e tu zitto e buono hai continuato a fare esattamente quello che facevi prima. Esattamente come il tuo vicino di negozio che noleggiava film e che ha fatto finta di niente quando qualcuno gli ha detto che i film si potevano scaricare alla metà del tuo prezzo sull’Apple Store. Esattamente come il negozio di alimentari che ha continuato a vendere lo stracchino industriale al doppio del centro commerciale a cento metri pensando – in virtù di chissà quale dogma teologico – che la gente avrebbe continuato a venire da te. E quando qualcuno ti ha detto: “Hai pensato di specializzarti? Qualcosa a chilometri zero? Qualcosa che non si possa trovare al supermarket?” lo hai ignorato.
Ma adesso hai capito che la colpa non era tua e della tua incapacità a fiutare un cambiamento di condizioni. Adesso hai capito che ti ha fregato lei, la sua amica Angela e quei maledetti suoi amici tedeschi cattivi ed egoisti come lo sono da secoli. Ma va bene lo stesso, se ti fa star meglio pensala così, ripeto: non ho obiezioni e non ti remo contro. Hai visto la luce.
Solo di una cosa sono preoccupato e cioè che dopo farai esattamente la stessa cosa che hai fatto negli ultimi quaranta anni. Non cercherai di capire quando le cose cambiano. Se potrai fotterai il fisco, se avrai guadagni non li investirai nell’attività ma ti comprerai la casa al mare e cambierai automobile e continuerai a fare le furbate che hai sempre fatto, un po’ miserevoli e un po’ spregevoli. Ma forse mi preoccupo per niente in fondo tu hai visto la luce.
Ma anche questo non ha importanza: l’importante è che tu sia felice, abbia riacquistato la tua autostima, perché, diceva il mio maestro: “non è importante la realtà oggettiva, ma la visione che le persone hanno della realtà. Perché è in base a questa visione che prendono le loro decisioni”.
Quindi, dato che hai visto la luce, amico mio, vai e riforma la banda. E se poi la luce non era quella di Gesù Cristo ma di qualcun altro con un curriculum vitae meno prestigioso, che te ne importa? Vai lo stesso. L’importante è crederci.
Buona fortuna.
filippo ha detto:
Sono relativamente giovane ma che io ricordi non c’è stato dibattito nei principali partiti italiani se si dovesse aderire o meno a Maastricht e poi all’Euro: alla gente comune sembrava una corsa a ostacoli che se avessimo perso ci avrebbe tagliato fuori per sempre e relegato ad essere un paese in via di sviluppo, invece ora mi sembra di capire che a livello accademico un dibattito c’era ma non è mai arrivato nelle case, in TV, in campagna elettorale.
“+ Europa” sembrava uno slogan vincente e per alcuni lo è stato, anche se dal partito erede del PCI ci si sarebbe aspettato una vigilanza maggiore degli interessi delle classi subalterne ( le partite iva e i piccoli imprenditori erano appannaggio di altri, anche se ora siam tutti nella stessa barca)
Ars Longa ha detto:
E farsi venire il dubbio di ricordare male no? Magari umilmente googlando e arrivando qui.
E naturalmente l’uscita sarebbe condotta democraticamente vero? Visto che uscire dopo un referendum sarebbe da deficenti si dovrebbe fare il colpo di mano la notte tra venerdì e sabato. Perciò smettiamola di raccontar fiabe sull’entrata poco democratica e senza dibattito: l’uscita come viene pensata da chi la manda sarebbe ancor meno democratica e con un dibattito pari a zero. Ma lei che ci fa qui ancora? Non aveva twittato al suo riferimento economico che questo blog è un muro di pregiudizi?
sollevAzione ha detto:
Quantomeno crudele questo post.
Ma qual’è il bersaglio della romanzina?
Qual’è il soggetto che avrebbe deciso di sposarsi e che ora si irride perché vorrebbe divorziare? Apparentemente il bottegaio (o forse il piccolo capitalista padano?) che non si sarebbe adeguato alla globalizzazione, che si è arrabattato come ha potuto, e che adesso se la prende con la feroce politica mercantilistica tedesca. Non ne avrebbe titolo, sembrerebbe, anzi si meriterebbe la sorte funesta che gli è capitata addosso.
Ci perdoni, ma l’analogia con la narrazione montiana è inquietante.
Capiamo male? Volgiamo sperarlo.
NB
Non è acccettabile assolvere gli artefici del grande inganno europeista con l’argomento che anche l’uscita dall’euro sarebbe fatta con “un colpo di mano nella notte tra venerdì e sabato”.
Ora il paese è sull’orlo dell’abisso, in uno schmittiano “Stato d’eccezione”, e per uscire, chiunque lo faccia, deve evitare una disastrosa fuga di capitali, il panico e gli assalti agli sportelli bancari, dare tempo alla banca centrale di stampare e mettere in circolazione la nuova moneta, e darlo anche ai circuiti telematici affinché di adeguino.
Tutto il processo che portò il Paese nell’eurozona fu massimamente antidemocratico ma senza alcuno Stato d’eccezione —se non quello di “Mani Pulite”.
Due elementi su tutti:
[1] Anzitutto l’inganno giuridico del referendum dell’11 maggio 1989. Vero è che l’88% degli italiani votò Sì (il 12% No) con un’affluenza dell’80%.
Ma quale fu il quesito?
Citiamo: ««Ritenete voi che si debba procedere alla trasformazione delle Comunità europee in una effettiva Unione, dotata di un Governo responsabile di fronte al Parlamento, affidando allo stesso Parlamento europeo il mandato di redigere un progetto di Costituzione europea da sottoporre direttamente alla ratifica degli organi competenti degli Stati membri della Comunità?».
Come si vede un quesito europeista sì, ma di evidente impronta democratica e … ventoteniana. Il costituzionalista che lo elaborò, il picista Gianni Ferrara, non esitò, il 25 maggio scorso a Roma, quindi pubblicamente, a fare ammenda, ad ammettere che quel referendum fu un colossale inganno per carpire il consenso ad una ben diversa un’operazione, la fondazione del regime della moneta unica, liberista e antipopolare.
[2] La democrazia, per chi scrive, non è un mito, ma una procedura, ma le procedure politiche e istituzionali hanno la loro importanza.
Il fatto è che le classi dominanti (comandano loro non i bottegai) non sottoposero la questione della rinuncia alla sovranità monetaria a pubblico dibattito—come altri paesi invece fecero.
Come si può sorvolare sul carattere non solo infingardo ma autoritario di questa operazione? Come si possono assolvere i colpevoli, i dominanti, colpevolizzando indiscriminatamente i sudditi?
Il referendum del maggio 1989 implicò l’approvazione di una legge costituzionale (la n.2 del 3 aprile 1989). I dominanti si guardarono bene dal fare altrettanto con l’adesione ai Trattati di Maastricht —che contemplavano la nascita dell’euro. Essi furono approvati da un parlamento “distratto” dal terremoto Tangentopoli il 29 ottobre 1992. Per la cronaca: approvati a grande maggioranza, dal Pds, alla Dc, al PSI alla Lega, ma con il voto contrario di Rifondazione.
Ars Longa ha detto:
Il post voleva essere crudele ma non voleva essere né una ramanzina né un rimprovero ai piccoli commercianti presi come categoria tout court. Vedo di chiarire meglio. Parto dal fondo. Uscire dall’euro lasciando immutato, senza alcuna discussione il quadro nel quale esso è nato è un inganno. Ed è a chi illude le persone che basti cambiar colore e nome di banconota che si indirizza il post.
Secondariamente reagire alla globalizzazione offrendo prodotti e servizi che la globalizzazione sta cercando di espellere dal consumo (avrete certamente compreso il significato politico di una apparentemente neutra legislazione europea come la HACCP) non sarebbe stato “adeguarsi alla globalizzazione” ma opporvisi suggerendo, almeno, diversi tipi di consumo responsabile. Il “chilometro 0” come filosofia non è “arrabbattarsi come si può” ma uscire dal paradigma della globalizzazione. Vi potrei raccontare una storia di resistenza al fascismo che passò attraverso la difesa da parte dei contadini di una specifica mucca che per le autorità mussoliniane doveva scomparire perché “poco produttiva”. La resistenza si annida e si produce spesso in luoghi e con modalità impensate. Ammetto – vorrei dire rivendico – la mia scarsa simpatia per coloro che hanno nuotato nell’acqua della globalizzazione ben felici di far guadagno e che oggi, addossando ogni responsabilità all’euro, compresa la propria incapacità a pensare il mondo del consumo in modo differente. Costoro sono quelli che autoassolvendosi pensano di poter ricominciare domattina a ragionare con gli stessi stili che li hanno contraddistinti. E perdonatemi io – certamente dopo aver chiarito meglio – non mi sento vicino per questo alle narrazioni montiane (e se Bagnai mi da del piddino e voi del montiao, vuol dire che devo veramente dedicarmi ai classici latini e greci). Perché come potete vedere io non sostengo il trionfo della grande distribuzione sul dettaglio, anzi, al contrario auspico che sia il dettaglio a farsi promotore principale di un consumo critico.
Perdonatemi voi se non vi seguo nel citare Carl Schmitt. Benché sia oggetto di ampi studi da parte di filosofi di cui pure sono amico, il risuonare di quel nome mi fa vibrare antiche corde di ribrezzo. Ciò detto un processo non-democratico è non-democratico e basta. E – a mio modo di vedere – nessuno stato di eccezione può farci derogare da alcune regole.
Purtroppo l’età mi fa ricordare bene i fatti del 1989 cui fate riferimento. Ed è certamente corretto indicare – come fate – la studiata redazione di quel testo definendolo ingannatorio. Ciò posto c’è una semplice operazione “di calendario” che è possibile fare, ossia chiedersi perché negli anni trascorsi, da quel referendum in poi, non sia potuta sorgere una voce dissonante. Vedete io ho la spiacevole sensazione che la tragedia si stia ripetendo come farsa. E che questo paese si stia svegliando antieuropeista un bel giorno nello stesso modo in cui si svegliò antifascista un 26 luglio di molti anni fa. Il fatto che si sia meno europeisti a me ovviamente fa piacere, tanto acritico è stato l’europeismo sino ad ora. E però pensate seriamente che l’anti-europeismo che sta sorgendo sia il prodotto di una improvvisa e miracolosa presa di coscienza di massa? O non è più probabile che sia la reazione alla lesione di interessi e che sia una reazione alla violazione di un “particulare” guicciardiniano?
Qui non si assolvono i colpevoli né si colpevolizzano indiscriminatamente i sudditi. Ma la patente di “sudditi”, intesi come appartenenti ad una indiscriminata “massa vittima” a me non ha mai convinto. La democrazia moderna – io penso – non sia una brutta copia dell’Ancien Regime nel quale il popolo suddito è del tutto privo dei mezzi democratici per sviluppare un proprio convincimento anche difforme. Ed anche negli anni più bui di questo Paese – quando io ero più giovane e quando i mezzi a disposizione erano limitati ad un ciclostile – non c’erano solo studenti che volantinavano davanti alle fabbriche ma anche orecchie e bocche di operai disponibili a discutere. E quella coscienza sociale non era certo di sudditi. Nella democrazia moderna – io credo – è suddito chi vuole esserlo. Faccio fatica – soprattutto oggi – a convincermi del contrario. E si è sudditi o per disinteresse o per convenienza personale.
Mi spiace abbiate supposto una mia intenzione di assolvere la classe di governo la cui condanna morale e politica è per me tanto acquisita da non doverla ripetere (ed è forse questo lo sbaglio, occorreva ribadirla senza supporre che fosse implicita anche nel lettore) e non solo in tema di Europa. Ma se è fuor di dubbio che la classe politica non può beneficiare di sconti, allo stesso tempo – per me – regalare a tutti la patente di “suddito” (e perciò di manipolato senza alcuna coscienza critica almeno embrionale) è quantomeno azzardato e certamente semplificatorio.
E per spiegarvi perché la penso così ritorno al passato. Io ricordo che un manipolo di “pazzi furibondi” (così fummo chiamati) alzò quelle poche barricate che poteva proprio in relazione al referendum di cui parlate. L’iter della legge costituzionale 2 del 3 aprile 1989 fu preceduta da una legge di iniziativa popolare del Movimento Federalista Europeo e fu il PCI che presentò la proposta di legge costituzionale. E le barricate – visto che anche per voi la democrazia è procedura – si alzarono sulla truffa del “referendum di indirizzo” di cui nella Carta Costituzionale non c’era traccia. Fu una operazione che stravolse l’articolo 75 che oggi si invoca per opposti motivi, ossia per negare un referendum sullo stesso argomento. Allora non fu “il referendum di maggio che implicò l’approvazione di una legge costituzionale” ma semmai fu la legge costituzionale che permise di indire quel referendum. Il 15 marzo 1989 quando la Camera votò la proposta di legge costituzionale 2905-B “indizione di un referendum di indirizzo sul conferimento di un mandato costituente al Parlamento europeo che sarà eletto nel 1989”, in aula c’erano 486 deputati e votarono sì in 485 con una sola astensione quella di Gerardo Bianco (e spero di non dovervi dire chi è Gerardo Bianco perché lo sapete) si astenne Gerardo Bianco, non Russo-Spena. Dei deputati di Democrazia Proletaria neppure uno votò contro quello sfregio alla Costituzione, nessuno obiettò che un “referendum d’indirizzo” era una assurdità, un escamotage. Ed in questo clima plebiscitario andate a vedere chi lavorò e in quali condizioni per fermare quel referendum. Quel 12% di elettori che disse no fu quasi una vittoria perché non fu solo il PDS, la DC o il PSI a dire sì ma tutti i partiti in Parlamento. Erano forse eroi quel 11,97% di elettori, erano forse dei geni o dei preveggenti? Io penso di no, io penso che fossero coloro che non vollero farsi sudditi nel momento della scelta. E dunque permettete ad un anziano signore di pensare – se non altro per la sua storia o per la storia politica che ha visto passare – che in democrazia si sceglie se essere sudditi e la maggioranza decise di esserlo a rimorchio dei suoi partiti. E non ci possono essere i sommersi (politici) e i salvati (elettori-sudditi), perché questo sarebbe un torto a quel dodici per cento e a chi lavorò nel generale disprezzo perché quel referendum non passasse. ma vi ricordo che quel 18 giugno gli elettori non votarono solo il referendum ed è cosa da non dimenticare e che non va sottaciuta.
Perciò nel salutarvi con simpatia vi ringrazio di avermi dato l’opportunità di spiegarmi con maggiore chiarezza.
Stefano D'Andrea ha detto:
Il discorso sulle colpe non ci interessa.
L’Unione europea è incostituzionale e il programma costituzionale, adeguato anche ai nuovi problemi, può essere ripreso e attuato soltanto fuori dall’Unione europea, tornando a qualcosa di simile al mercato comune.
L’euro crea squilibri e la crisi specifica determinata dall’euro, che è una crisi dentro una crisi più generale ma non globale, va utilizzata per costruire una prospettiva costituzionale e quindi antiunionista e sovranista (l’UE è l’anti-sovrano) che entri in Parlamento e parli al popolo italiano. E’ un’occasione unica e irripetibile (anche per avere un giorno il potere di fare cose alle quali ars longa accenna.
Questa è la nostra analisi e la nostra proposta.
Più che le critiche a questa analisi e a queste proposte, ci interessano l’analisi e la proposta di ars longa, per verificare se almeno per un po’ di tempo si può marciare assieme, visto che certamente le vedute non coincidono.
Per ora abbiamo constatato soltanto una impostazione critica nei confronti antiunionisti, consapevoli (che pongono il problema dell’unione europea) o inconsapevoli (che pongono il problema dell’euro). Attendiamo la costruzione di un discorso. Noi il nostro discorso lo abbiamo già costruito. Perché dedicarsi asottoporlo a critica, senza prima aver proposto un nuovo criterio e una nuova prospettiva?
Ars Longa ha detto:
Mi pare non abbiate colto il senso del post. Non erano le colpe sulle quali si concentrava il ragionamento. Il punto era più o meno questo: data per acquisita la necessità di uscire dall’Euro, occorre avere chiaro in mente la gestione del dopo”. Che detto in altri termini: se abbiamo un’auto che non funziona con in più le gomme lisce, dopo aver buttato via le gomme e averle sostituite con pneumatici nuovi l’auto non partirà perché il motore ha un guasto. Avremo bisogno di un meccanico. E che meccanico sceglieremo? Un meccanico neoliberista? Un meccanico keynesiano o post-keynesiano? Rifiuteremo di continuare il nostro viaggio verso la Globalizzazione oppure no? Queste sono le domande che ho posto.
Stefano D'Andrea ha detto:
Queste sono tutte domande alle quali noi dell’ARS abbiamo dato risposta. Nei nostri documenti si trova “de-globalizzare” (ma sottrarsi all’Unione europea – non all’euro soltanto – è già di fatto de-globalizzare, visto che l’Unione europea è molto ma molto ma molto più liberoscambista del wto); “sistema finanziario chiuso”; “repressione finanziaria”; “controllo amministrativo sulla circolazione dei capitali”; “disciplina degli investimenti esteri nel senso che se non sono produttivi la moneta che entra non può essere superiore a quella che esce”; persino credo sia stata già inserita la “lotta al capitale marchio”.
Ma Tutte queste sono possibilità che si creano uscendo dalla UE e affrontando il mare aperto: sono tutti poteri che la UE ha sottratto agli stati. La sovranità è la libertà e la possibile democrazia di un popolo.Stare dentro a sognare è qualcosa che assomiglia a Guido Viale o simili. Perdita di tempo assoluta.
Certo la libertà è rischio. E’ possibilità del meglio e del peggio; di vittoria e di sconfitta.I servi non rischiano. La sovranità può essere usata bene o male. Coloro che preferiscono rimanere in cella per il timore dell’uso che si farà della libertà, ovvero che tentennano perché vogliono prima sapere in che modo sarà utilizzata la libertà, restino prigionieri: lo meritano. Quando si organizza una fuga da una prigione, rifiutarsi di fuggire perché nell’organizzazione della fuga è coinvolto un razzista o, nel caso contrario un negro o un omosessuale è da squilibrati. Si fugge e basta. La fuga non è un’alleanza o un’unione, né costituisce un’amicizia: è una fuga e basta. Finisce appena si è lontani dalla prigione. E’ lo sforzo comune per riconquistare la libertà.
Oggi ci si divide in UNIONISTI, che vogliono sottostare al liberoscambismo e all’antisovranismo (di destra, di sinistra, comunisti, fascisti, piddini, piddiellini: sono tutti alleati e da due decenni) e ANTIUNIONISTI. Le differenze tra gli antiunionisti sono indubbiamente maggiori rispetto a quelle che corrono tra gli unionisti (che in fondo sono molto poche, al di là delle declamazioni ideologiche: lo abbiamo visto nel diritto penale totalitario introdotto per la discriminazione degli omosessuali: un diritto penale non minimo, a rischio di incostituzionallità, con fattispecie non strettamente determinate, posto a difesa di una morale). Più gli unionisti democratici ritardano a capire che loro sono il problema, che loro sono i sostenitori del liberoscambismo e dell’antidemocrazia (anche se sono progressisti, comunisti, decrescisti, ambientalisti, femministi, ecc.) e più il fronte antiunionista sarà un po’ o parecchio o molto identitario.
La politica è sangue e “melma”. L’egemonia si conquista mettendosi gli stivaloni e scendendo nell’arena.
sollevazione ha detto:
Troppa grazia Sant’Antonio!
Nel ringraziare per la risposta —che non esaurisce affatto ma addirittura aggroviglia la questione— due sole doverose precisazioni:
[1] I più anziani tra noi, intendo militanti del Mpl, ai tempi del referendum del 1989, militavano tra le fila della cosiddetta “sinistra rivoluzionaria”, non solo non votarono ma chiamarono al boicottaggio, sulla base della semplice, forse schematica, ma limpida considerazione, che l’Unione che stava nascendo fosse un consorzio sovranazionale imperialistico, figlio dell’alleanza euro-atlantica NATO.
[2] Quello “antifascista”, se è un pavloviano riflesso condizionato, è fallace, anzitutto nel campo teoretico. Lo schmittiano “Stato d’ecezione” è inveve un potente paradigma esplicativo. Quando le tensioni sociali o internazionali non sono redimibili in base a procedure democratiche, ogni democrazia le revoca e le sospende. La Costituzione italiana non fa eccezione: vedi l’Art. 78.
[3] Nella crisi storico-sistemica che viviamo, il richiamo ossessivo delle classi dominanti italiane al “vincolo esterno” non è se una una manifestazione di un latente Stato d’eccezione, ove le decisioni politiche essenziali sono demandate alla Commissione europea (che agisce di concerto con la Bce), ove insomma il sistema di formazione delle leggi è sovraordinato.
Massimo ha detto:
Perdonate ragazzi ma state dicendo che nonostante la risposta non è stato fugato il vostro dubbio di “montismo” riguardo l’autore di questo articolo?
Ars Longa ha detto:
La tesi di Schmitt è oggi totalmente respinta dalla giurisprudenza internazionale sui diritti umani. In modo esplicito nel Patto internazionale sui diritti civili e politici, approvato dall’Assemblea generale dell’ONU il 16 dicembre 1966, laddove all’articolo 4 si dice: “”in caso di pericolo pubblico eccezionale, che minacci l’esistenza della nazione e venga proclamato con atto ufficiale, gli Stati parte del presente patto possono prendere misure le quali deroghino agli obblighi imposti dal presente patto, nei limiti in cui la situazione strettamente lo esiga e purché tali misure non siano incompatibili con gli altri obblighi imposti agli Stati medesimi dal diritto internazionale e non comportino una discriminazione fondata unicamente sulla razza, sul colore, sul sesso, sulla lingua, sulla religione o sull’origine sociale”, La giurisprudenza internazionale pone infatti dei limiti alla discrezionalità dello “Stato di eccezione” schmittiano che – de facto – ne annullano il significato (vedi ad esempio Sentenza della Corte Europea 1° luglio 1961 Lawless e la sentenza 18 gennaio 1978). La giurisprudenza latinoamericana ha seguito lo stesso percorso con l’articolo 27 della Convenzione americana sui diritti dell’uomo. Perciò la teoria secondo la quale la “capacità di decidere sullo stato di eccezione costituisce il connotato essenziale della sovranità” (Carl Schmitt, Le categorie del politico, Bologna 1972, p.33 es eguenti) non fa parte della attuale teoria del diritto internazionale poiché i limiti imposti dal diritto internazionale annullano l’assoluta sovranità dello Stato nella gestione dello “Stato di eccezione”. Credo mi dobbiate almeno un caffé per aver voluto crudelmente farmi riprendere in mano Schmitt.
Riguardo all’articolo 78 eccepirei che esso si applica soltanto alle ipotesi di guerra internazionale tra stati e non alle situazioni di guerra civile interna. In caso di turbolenze intene secondo il dettato costituzionale si adotterebbero leggi ordinarie (decreti legge) che per la loro natura non possono derogare dalle norme costituzionali che garantiscono i diritti fondamentali di libertà e dai trattati internazionali sui diritti umani.
Leonardo Sperduti ha detto:
Seguo questo blog da un paio di anni, e ultimamente, a mio modo di vedere, la qualità sta calando vistosamente. Capisco (anche se non condivido) la difesa dell’euro e del sogno degli USE, sicuramente due progetti affascinanti, ma fallimentari, vista la mancanza di volontà politica di creare le condizioni necessarie per rendere sostenibile l’euro è realizzabili gli USE.
Quello che non capisco, o meglio di cui mi sono fatto un’idea, magari sbagliata, è che Ars Longa (non so se sia uno o più persone), oramai si concentri solo sugli attacchi a chi propone di uscire dall’euro e a Bagnai in particolare (non in questo post ma in alcuni recenti), non è che si voglia sfruttare l’immagine di Bagnai, che sta ottenendo una certa notorietà, per far aumentare la propria? Mi sorge il dubbio. [CUT delle successive 639 parole]
Ars Longa ha detto:
Senta Leonardo, non è colpa sua, visto che l’intervento era meno becero di altri delle truppe cammellate che Bagnai mi manda qui seguendo il suo solito sistema, però io prorio non vi reggo più. La “qualità del blog sta calando vistosamente”? Benissimo: si disiscriva e vada a leggere altro. Anche perché se segue da due anni e ancora mi dice che qui si difende l’Euro allora sono stati due anni sprecati.
. E se in quasi duecento post lei ci ritrova solo attacchi al suo guru (quello che ha scritto il libro che lei brandisce nella sua foto del profilo twitter) allora .. che dirle? Niente ne prendo atto e me ne faccio una ragione.
La questione della acquisizione di notorietà sfruttando quella del guru di Pescara è una favola che vi raccontate voi nel vostro bunker di Goofynomics. Volessi notorietà non rimarrei come rimango rigidamente e inflessibilmente anonimo. E se proprio volessi ottenere notorietà attraverso la critica di qualcuno sceglierei di parlar male che so di Lorenzo “Jovanotti” Cherubini che su twitter ha 1.704.364 follower, mentre il suo guru ne ha più miseramente 7.123.
Mi pare di averlo detto un numero eccessivo di volte: non ho bisogno di notorietà (che ho già come persona) né sento la necessità di spargere il mio verbo attraverso questo blog che curo per mio diletto personale senza altro scopo. Non devo guadagnare altri soldi (che stia certo sono più di quelli che guadagna il suo economista di riferimento). Non devo e non voglio andare in televisione, crearmi una falange di fedelissimi o guadagnarmi un posto in parlamento. Perciò si tenga i suoi dubbi che mi pare di aver già fatto abbastanza per fugarli. Il resto del suo intervento mostra che non ha capito nulla neppure del senso del post. L’ho impietosamente tagliato perché se mi scrive “negare un’evidenza palese come il fatto che la zona euro è l’unica area al mondo che non riesce a reagire alla crisi” è la goccia che fa trabboccare il vaso. Se mi vuol far negare quello che non ho mai negato allora sta perdendo tempo e mi sta facendo perdere tempo.
Leonardo Sperduti ha detto:
“Qui l’euro non è stato mai difeso” ma se si condanna l’eventuale uscita dalla moneta Unica cosa cambia?
Buona giornata anonimo personaggio noto e grazie per la censura ad hoc.
Ars Longa ha detto:
Legga le mie labbra: non si condanna neppure l’eventuale uscita dall’euro. Ci si pone il problema di capire che cosa si vuole costruire dopo l’uscita dall’Euro. Si vuol capire se si tratta solo di un cambio di moneta per continuare poi a fare le stesse cose e stare nello stesso sistema oppure se uscire dall’Euro significa anche rimettere in questione una gestione dell’economia, dello sviluppo e del consumo. Questa è la domanda che pongo e che non trova risposte né abbozzate né sensate. Chi vuol rimanerci dentro vuole anche questo sistema, chi vuole uscirne invece rimane oscuro e impreciso su questo punto. Non sto dicendo che il suo guru non abbia ragione quando dice “usciamo dall’Euro”, non sto negando o condannando la possibilità di farlo. Sto chiedendo(mi) qualcosa sul dopo e il dopo non significa chiedersi se ci sarà più o meno inflazione, dove finiranno i miei risparmi, etc. Il dopo è chiedersi che senso ha la firma di Jens Nordvig (CEO della Nomura banca di investimento globale) a fianco di quella di Bagnai in un manifesto. Chiaro?
Truman ha detto:
Nel merito del tema principale ho seri dubbi. Ma lo argomento a parte.
Mi interessa piuttosto la parte che riguarda i librai e bottegai di alimentari. Sembra dire “il mondo è cambiato mentre voi stavate sempre a vendere la stessa merce, oltre tutto ad un prezzo esosamente alto”. Ottimo, ma mi fa pensare più agli economisti che a salumai e librai, notoriamente persone intelligenti. E quindi i bottegai hanno cercato da tempo di fornire qualità o servizi aggiunti, guardandosi in continuazione intorno. (L’ultima libreria che ho visitato aveva recensioni scritte a mano dai librai ed i singoli libri presenti in una piccola libreria sembravano scelti uno per uno; quella precedente aveva deciso di offrire servizi di caffetteria /rinfreschi insieme ai libri, insomma punto di ritrovo oltre che di commercio)
Solo gli economisti, convinti di essere ministri di culto, continuano a propinare sempre la stessa merce con la stessa faccia di tolla. (No, Ars longa, non sto parlando a te, mi riferisco a quelli del Sole24ore, oppure Economist, agli economisti presenti sui mass-media).
Ars Longa ha detto:
Beh meno male che non stava parlando di me. Ho avuto una giornataccia, mi hanno definito “esponente del mainstream liberista” o una specie di sosia del guru dell’Adriatico. Non avrei sopportato oltre per oggi.
Savasandir ha detto:
Quoto:
“Mi pare di averlo detto un numero eccessivo di volte: non ho bisogno di notorietà (che ho già come persona) né sento la necessità di spargere il mio verbo attraverso questo blog che curo per mio diletto personale senza altro scopo. Non devo guadagnare altri soldi (che stia certo sono più di quelli che guadagna il suo economista di riferimento).”
Non giudico la frase in sé, quando a uno gli salta la mosca al naso per un qualsiasi motivo è naturale che passi a un altro registro (e di fronte a colleghi che esagerano è ancora più comprensibile).
Voglio far notare che se questa è l’atmosfera del campo di Agramante di strada se ne farà pochina. Allora è inutile da na parte lamentarsi della gente che non capisce le istanze rivoluzionarie o dall’altra della tabaccheria che non ha comprato un villaggio abbandonato in Val d’Orcia per ristrutturarlo; il compito di motivare e svegliare le persone è degli intellettuali che se litigano fra loro fanno solo un servizio a qualcun altro.
Purtroppo lo stato dell’arte dell’intelligentsia è proprio quello descritto da Michel Crozier in un libro pubblicato dalla Trilateral Commission nel 1975, “The crisis of Democracy”.
Disponibile qui (metto il link al paragrafo “The upsetting of the intellectual world”, che è a pagina 30 del documento, capitolo secondo, II-4 (casomai il link dovesse portare alla prima pagina):
Fai clic per accedere a crisis_of_democracy.pdf
Quindi non sto a fare la morale a uno o all’altro ma mi riferisco allo stato di sbando, spero momentaneo e fisiologico, dei “buoni”.
Ars Longa ha detto:
Tutto giusto. Faccio ammenda, ma se posso usarla come giustificazione non ha idea del numero impressionante di pazzi furibondi che ho messo in spam stamattina. Ogni tanto saltano i nervi.
Savasandir ha detto:
Ma no per carità; ci sei tu sul pezzo, mica io. Avrei fatto di peggio ti assicuro.
Solo che stiamo già messi male di nostro e se litighiamo fra noi è un disastro.
Savasandir ha detto:
Niente, da n’altra pagina. Dovesse interessare a qualcuno riprovo
Fai clic per accedere a crisis_of_democracy.pdf
Truman ha detto:
Dice Ars Longa
“nessuno ci ha imposto di aderire all’Euro (anzi volevano tenerci fuori)”
e mi torna in mente il tipico discorso del venditore di fregature, che dice “è un’offerta speciale, ma scade oggi (o domani, o a fine mese). Se non ne approfitti subito perdi l’occasione”.
Solo a pochi ingenui sembra un modo per tenere fuori qualcuno dall’offerta, la maggioranza capisce che è una tecnica consolidata di marketing.
E così anche la finzione che rischiassimo di restare fuori dall’euro, a chi guarda con il dovuto distacco, appare solo un argomento di marketing.
Ma Ars Long corregge poi il bersaglio:
“data per acquisita la necessità di uscire dall’Euro, occorre avere chiaro in mente la gestione del dopo”.
E qui è difficile non essere d’accordo. Ma c’è un discorso di fondo sugli elementi poco razionali, simbolici, che colpiscono le masse pur essendo tutto sommato di importanza tecnicamente ridotta.
Insomma la valuta nazionale e il suo simbolo.
Io credo che le battaglie dove bisogna coinvolgere le masse abbiano bisogno di simboli, simboli fortemente evocativi, certamente con contenuti irrazionali. Ma ci devono essere e devono essere vistosi. Perchè bisogna riconquistare l’immaginario collettivo delle masse, i loro sogni ed i loro desideri. Altrimenti restiamo chiusi in una nicchia, magari anche bella, curata, seria, responsabile. Un giardino di ikebana.
Se però dietro a un movimento di massa basato su simboli forti non c’è anche un’analisi politica seria, disincantata, approfondita, realistica, dettagliata, il tutto non dura.
E quindi approvo chi mette la banconota con le diecimila lire sulla copertina del suo libro (vorrei evitare incidenti diplomatici, quindi evito di fare nomi).
L’idea di un eden perduto è sempre trainante, se ha dei contenuti reali.
Poi ci vorrebbe l’onestà di dire a chi vuole approfondire che quella è la parte simbolica, ma che resta molto lavoro da fare per uscirne bene.
Ecco, credo che da qui si potrebbe cominciare…
da ha detto:
Bella discussione che avvicina il problema presentandolo però rovesciato (euro/lira, cessione/recupero di sovranità ecc). Nel mondo capitalista la sovranità è quella del Capitale che si sostanza nella economia-politica, non ci può essere altro, questa è la sua società civile..
Problema che rimane -ed è sempre quello- la perdita di saggio medio di profitto per la attività agricole ed industriali, altrimenti detto “produttività”; ossia, se messo in relazione agli altri sistemi-paese impegnati nella competizione capitalistica, perdita di “vantaggio competitivo”.
Il recupero del vantaggio competitivo tramite l’ intervento statale (a cui mirano quelli del “recupero di sovranità” nelle varie motivazioni ideologiche e nelle varie sfumature) non è certo una novità nella lunga storia della civiltà capitalista, l’ultima volta andò a finire malissimo.
Tanto per rimanere alla storia e alla Strange: «Le politiche di tipo keynesiano o sono state inefficienti, come negli Stati Uniti con il New Deal, oppure sono state finalmente intraprese, come in Francia, Germania e Gran Bretagna, per prepararsi alla seconda guerra mondiale. La dimostrazione più eclatante della loro efficacia, tuttavia, si è avuta negli Stati Uniti dopo Pearl Harbour. Nel giro di un anno, la maggior parte dei 13 milioni di disoccupati statunitensi aveva trovato un nuovo lavoro. Il governo aveva provveduto ad assicurare ai settori produttivi legati alla difesa credito prontamente disponibile. Addirittura alcuni settori, di fatto, erano stati nazionalizzati. Sotto il pungolo della guerra, l’”arsenale della democrazia” aveva dimostrato che cosa sapeva fare» (Denaro impazzito)
Opporsi alla globalizzazione che affama il popolo ? Bella “idea” ! Forse conviene che prima venga approfondito il concetto.