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In un altro post avevo sostanzialmente detto due cose:

  1. nessuno ci ha imposto di aderire all’Euro (anzi volevano tenerci fuori)
  2. il Trattato di Maastricht non era un protocollo segreto o una trappola: abbiamo accettato tutto e nessuno ci puntava la pistola alla tempia

Di questi due punti avevo cercato di dare conto rifacendo un po’ di storia del periodo decisivo ossia tra il 1996 e il 1997. Ho notato che nel merito nessuno mi ha contestato niente. Invece ho visto commenti del tipo “non ha fornito dati” e altre facezie più o meno lunari. Ma nessuno mi ha ribattuto che no, nell’Euro ci hanno trascinati a forza mentre scalciavamo per non entrarci. Nessuno mi ha detto che la nostra adesione sia stata provocata grazie ad un subdolo imbroglio e che ci han venduto pomodori spacciandoli per pere. I più pacati han scritto “si però quella è storia vecchia” come dire “non conta più”. Allora, poiché nessuno ha mosso dei rilievi con qualche sostanza, mi tengo i due punti e proseguo da quelli. E così mi invento un immaginario interlocutore che vuol divorziare.

Caro amico, il fatto di non prendere atto che sei stato tu a volerti sposare potresti ritenerlo un particolare da poco. Potresti dire “sì mi sono sposato ma lei era magra, allegra, si faceva all’amore tre volte al giorno  per 260 giorni all’anno, mi faceva vedere la Coppa dei Campioni, potevo uscire con gli amici e cucinava benissimo. Poi però è cambiato tutto e adesso pesa novanta chili, mi rompe le scatole da mane a sera, non cucina più ed è pure depressa”. Vale la regola che non c’è nulla “per sempre” e che se le cose cambiano possono cambiare anche i patti e i contratti. Nulla, si dice è irreversibile.
Anche se eri capace di intendere e volere e hai detto “sì” senza alcuna costrizione, se senti che la vita di coppia non funziona più hai tutto il diritto di divorziare. Anzi fai bene, non ho obiezioni. Vai da un avvocato, studia bene la questione e fai i tuoi passi.
Però occhio: nel Trattato che hai firmato, all’articolo 50 sta scritto che se divorzi da lei, divorzi pure da altre cose. Mi dici che lo sai. Occhio però che la cosa avrà un costo. Ma tu mi rispondi che ti sei fatto tutti i calcoli e che – sì certo sei cosciente che qualcosa dovrai pagare, che farai fatica – però mi dici anche che è meglio soffrire con la speranza di una vita migliore che rimanere lì a soffrire ogni giorno senza speranze. Benissimo: vai e fai, io non sto qui ad impedirti nulla né ti remo contro.
Ti dico solo una cosa: stai bene attento a non scaricare sulla relazione che stai chiudendo cose che non c’entrano nulla.
Invece è proprio quello che fai generando, giusto per esemplificare, la sindrome della libreria e del negozio di alimentari.
La sindrome della libreria funziona più o meno nel modo che segue. Hai venduto libri per quarant’anni. Sei stato coraggioso a farlo in un Paese come il nostro. Ci hai campato più o meno bene. A partire dal 2008 hai avuto una costante flessione delle vendite mentre i tuoi costi (affitto del negozio, elettricità, etc. etc.) continuavano a salire. Alla fine non ce l’hai fatta più. Hai venduto. Ma ti porti dentro l’idea del fallimento fino al punto che ti autocolpevolizzi e entri in depressione. Poi però scopri che forse non è colpa tua che gli alamanni hanno congiurato ai danni della Patria, hanno passato il Piave e ti hanno rovinato. Colpa degli alamanni e della loro maledetta moneta (nella quale sei entrato tu nel pieno delle tue facoltà mentali). L’equazione diventa allora chiara e come nel film dei Blues Brothers (che si cita tanto ultimamente) “hai visto la luce”, esci dalla depressione e corri a “rifare la banda”. Naturalmente neppure per un attimo ti passa per la mente che pian piano negli anni è arrivato in Italia un signore che si chiama Amazon, che prima c’era un altro che si chiamava IBS. Non ti è venuto in mente che questi signori ti spediscono a casa i libri che vuoi, li scontano più di te e trovano tutto in dieci giorni. Non ti è venuto in mente che il tipo di mercato in cui navigavi ti è cambiato sotto il posteriore e tu zitto e buono hai continuato a fare esattamente quello che facevi prima. Esattamente come il tuo vicino di negozio che noleggiava film e che ha fatto finta di niente quando qualcuno gli ha detto che i film si potevano scaricare alla metà del tuo prezzo sull’Apple Store. Esattamente come il negozio di alimentari che ha continuato a vendere lo stracchino industriale al doppio del centro commerciale a cento metri pensando – in virtù di chissà quale dogma teologico – che la gente avrebbe continuato a venire da te. E quando qualcuno ti ha detto: “Hai pensato di specializzarti? Qualcosa a chilometri zero? Qualcosa che non si possa trovare al supermarket?” lo hai ignorato.
Ma adesso hai capito che la colpa non era tua e della tua incapacità a fiutare un cambiamento di condizioni. Adesso hai capito che ti ha fregato lei, la sua amica Angela e quei maledetti suoi amici tedeschi cattivi ed egoisti come lo sono da secoli. Ma va bene lo stesso, se ti fa star meglio pensala così, ripeto: non ho obiezioni e non ti remo contro. Hai visto la luce.
Solo di una cosa sono preoccupato e cioè che dopo farai esattamente la stessa cosa che hai fatto negli ultimi quaranta anni. Non cercherai di capire quando le cose cambiano. Se potrai fotterai il fisco,  se avrai guadagni non li investirai nell’attività ma ti comprerai la casa al mare e cambierai automobile e continuerai a fare le furbate che hai sempre fatto, un po’ miserevoli e un po’ spregevoli. Ma forse mi preoccupo per niente in fondo tu hai visto la luce.
Ma anche questo non ha importanza: l’importante è che tu sia felice, abbia riacquistato la tua autostima, perché, diceva il mio maestro: “non è importante la realtà oggettiva, ma la visione che le persone hanno della realtà. Perché è in base a questa visione che prendono le loro decisioni”.
Quindi, dato che hai visto la luce, amico mio, vai e riforma la banda. E se poi la luce non era quella di Gesù Cristo ma di qualcun altro con un curriculum vitae meno prestigioso, che te ne importa? Vai lo stesso. L’importante è crederci.
Buona fortuna.