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Alberto Bagnai, dispersione del potere, euro, London School of Economics, Mad Money, mafia, narcos, shared sovereignty, sovranisti, sovranità, sovranità condivisa, sovranità monetaria, sovranità vestfaliana, Susan Strange, Tito Boeri, Unione Europea, Westphalian sovereignty
Il tema della “sovranità” sembra aver assunto un interesse diffuso, almeno nella Rete. Probabilmente anche fuori della Rete se Tito Boeri ha ritenuto di dover dedicare il Festival dell’Economia 2013 di Trento Rovereto (che si è svolto tra il 30 maggio e il 2 giugno 2012) all’argomento intitolandolo “Sovranità in conflitto”. Anche una superficiale ricerca attraverso Google mostra il fiorire di blog, siti, associazioni che pongono al centro del loro dibattito l’argomento “sovranità”. Un primo aspetto risulta abbastanza evidente: si tratta di un tema trasversale alle posizioni politiche. Lo troviamo espresso da Destra (Fronte Anti Euro Destra Popolare), da movimenti con connotazioni che mi sfuggono come “Io amo l’Italia” di Magdi Allam. Lo ritrovo in movimenti che non saprei come posizionare nello spettro politico come MoviSol, Associazione Riconquistare la Sovranità. C’è anche la Sinistra con Marx XXI.
Ovviamente non pretendo di aver stilato un elenco (ho dedicato alla ricerca non più di dieci minuti) e devo supporre ci sia anche altro in cui non mi sono imbattuto. Però già un quadro così ristretto mi sembra sufficiente per intuire la popolarità in Rete dell’argomento. Popolarità che sembra essere relativamente recente perché la maggior parte dei siti che ho visitato non sembra avere più di due o tre anni di vita. Ma d’altro canto, come ricorda lo stesso Boeri, anche Monti in campagna elettorale ha usato l’argomento “sovranità” sostenenendo (ovviamente banalizzo le sue affermazioni) che senza di lui a governare il rischio sarebbe stato quello di essere governati da Bruxelles come è accaduto o sembra essere accaduto alla Grecia. Ovviamente il tema della “sovranità” viene affermato in “toto” ma il principale passo che secondo i “sovranisti” (mi pare un termine cacofonico ma vedo che viene usato e mi adatto) dovrebbe essere quello dell’uscita dall’Euro. E qui i “sovranisti” trovano un terreno comune con Bagnai che però è abbastanza ristretto. Basta infatti guardare al Manifesto diffuso dallo stesso Bagnai per rendersi conto che nei ragionamenti del professore pescarese le rivendicazioni sovraniste sono meno larghe di altri. Il fatto poi che nel suo blog Bagnai sia più barricadero mi pare più che altro il frutto di una politica di comunicazione che utilizza due linguaggi: uno più diplomatico destinato a un pubblico al di fuori di Internet e uno più “virile” e messianico veicolato dal blog.
Dunque attualmente mi pare di poter dire che il cavallo di battaglia del “sovranismo” è l’uscita dall’Euro anche se poi le proposte di chi appoggia queste teorie investono anche altri temi.
Fatto il punto (provvisorio) non mi viene voglia di esercitare una critica o di esprimere preoccupazioni (come mi sembra faccia Boeri). Piuttosto l’argomento mi fa emergere dei concetti che sembravano e probabilmente erano sepolti nella memoria. Per quegli strani cortocircuiti mentali di riaffioramento mi sono tornati alla mente i lavori di Susan Strange. Mi è parso curioso che né Bagnai, né i sovranisti abbiano fatto riferimento a quella che viene riconosciuta in modo pressoché unanime come la creatrice della politica economica internazionale. Probabilmente né Bagnai né i “sovranisti” sembrano sapere chi sia. E non è una pecca da poco. In primo luogo perché la Strange è stata una economista con le carte molto in regola: docente alla London School of Economics, poi all’European University Institute di Firenze e infine all’Università di Warwick (sì lo so non ha insegnato a Pescara ….) Ha scritto un libri memorabili: nel 1986 “Casinò Capitalism”, nel 1988 “States and Markets”, seguiti da “The Retreat of the State” e “Mad Money”. In Italia “Casinò Capitalism” fu tradotto e pubblicato da Laterza con il titolo Capitalismo d’azzardo, Il Mulino pubblicò “The Retreat of the State” ribattezzandolo con il più asettico titolo di “Chi governa l’economia mondiale?”. Nel 1999 le Edizioni di Comunità tradussero “Mad Money” (con il titolo “Denaro impazzito”) che si occupava proprio dei mercati finanziari e delle loro logiche di fine millennio. In questo ultimo libro, uscito postumo, la Strange avvertiva il lettore del pericolo dei titoli tossici e con estrema lucidità delineava il quadro della crisi che sarebbe scoppiata nel 2008, dieci anni dopo la sua morte. Libri oramai tutti usciti fuori catalogo e che soltanto la mia età non più verde mi consente di avere (ma ritengo che in qualsiasi decente biblioteca si possano ritrovare).
Qual’è il cuore delle argomentazioni della Strange? In sintesi secondo la studiosa a partire dall’inizio degli anni Settanta dello scorso secolo l’equilibrio tra Stato e mercati si è andato progressivamente deteriorando a favore di questi ultimi che, anno dopo anno, hanno creato un “ecosistema caotico”. Il fenomeno che la Strange analizzava venne da lei definito “dispersione del potere”. In altri termini il potere (o l’autorità) si è andata distribuendo in una pluralità di soggetti economici ingovernati e ingovernabili. Tra questi soggetti la Strange metteva anche la grande criminalità organizzata (narcos, mafia russa e italiana) che della “dispersione del potere” si sono largamente giovate. In più (e questo è un punto molto interessante) la Strange sosteneva che in questa “dispersione” si stava anche verificando un fenomeno di “volatilizzazione”, ossia alcuni poteri non vengono più esercitati dallo Stato ma non vengono neppure assorbiti da qualche altra entità: semplicemente non vengono più usati. Un passo di “Chi governa l’economia mondiale” mi sembra meritevole di essere riportato integralmente: “L’ultimo problema che emerge da questa analisi della dispersione di autorità nell’economia mondiale e nelle società mondiali riguarda tutti noi in quanto individui. Una volta l’ho definito il problema di Pinocchio. Mi sembrava che i fili che tengono legato ognuno di noi allo stato-nazione fossero simili ai fili che sostenevano Pinocchio, rendendolo il burattino di forze che egli non poteva né controllare né influenzare. Il suo problema, in conclusione, non era più che il suo naso si allungasse nel nel momento in cui diceva bugie. Egli aveva imparato che le bugie erano un errore. Il suo problema, al momento di trasformarsi magicamente da burattino di legno a ragazzo in carne ed ossa, fu in definitiva la mancanza di fili che lo guidassero. Pinocchio doveva distinguere autonomamente cosa fare, l’autorità di quali soggetti rispettare e quale altra autorità sfidare e ostacolare. Se. di fatto, ciò che oggi ci si presenta non fosse tanto un immaginifico sistema di global governance, quanto piuttosto un decrepito agglomerato di fonti di autorità in conflitto, anche noi avremmo lo stesso problema di Pinocchio. Dove solo le origini di obbedienza, lealtà, identità? […] A volte nel governo di uno stato. Ma altre volte in un’impresa o in un movimento sociale che operi attraverso le frontiere territoriali. A volte in una famiglia o in una generazione; a volte in persone che condividono un lavoro o una professione. Con la conclusione della guerra fredda e con il trionfo dell’economia di mercato si è verificata nuovamente un’assenza di valori assoluti.”
Quello che è andato in crisi è il concetto di “sovranità vestfaliana” (Westphalian sovereignty) fondato nel 1648 con la nascita del mutuo rispetto della integrità territoriale, dell’autodeterminazione, della pari dignità di ciascuno Stato a prescindere dalle sue dimensioni e potenza, del diritto alla non ingerenza nei problemi interni che sorgano in uno Stato.
La reazione della maggioranza di noi di fronte all’andare in pezzi della “sovranità vestfaliana” sembra essere quella di chiedere un ritorno ad essa perché il modello di “sovranità condivisa” (“shared sovereignty”) tipico ad esempio della teoria dell’Unione Europea non ha conquistato né il cuore né le menti delle persone. Il problema è che un ritorno alla “sovranità vestfaliana” sembra essere praticamente inattuabile perché ciò che è uscito dalla porta ed è entrato a far parte della sfera di innumerevoli centri di potere economici diffusi e frammentati non può rientrare dalla finestra tanto facilmente. Il pericolo è che la richiesta di ritorno alla “sovranità vestfaliana” sia velleitario perché, non tenendo conto e non riuscendo a cogliere, quali siano i reali nodi di potere si applichi a situazioni parziali. Per esemplificare: chiedere il ritorno alle monete nazionali ristabilirebbe la situazione? Ossia riappropriarsi della sovranità monetaria laddove tutte le altre sovranità sono andate perdute, avrebbe un esito positivo o sarebbe soltanto illusorio? La Strange ci avvertiva che anche far tornare allo Stato-nazione pezzetti di sovranità non avrebbe alcun senso e non ricostituirebbe quel mondo, quella idea di mondo nel quale siamo vissuti prima dell’avvento della globalizzazione.
Immagino che qualcuno potrebbe commentare con la classica obiezione “meglio riprendersi un pezzetto di sovranità, piuttosto che star fermi”. Ma a questo rispondo ricollegandomi ai ragionamenti della Strange: “sia per la struttura della conoscenza sia per quella della produzione gli Stati territoriali hanno perduto da molti anni il controllo vantato in passato sulla produzione di beni e servizi entro i loro confini, così come sulla creazione, accumulazione e comunicazione di conoscenza e informazione” perché si deve registrare “il fallimento della maggior parte dei governi nell’assolvere proprio quelle funzioni fondamentali a cui si deve la creazione dello Stato in quanto istituzione: la garanzia della legge e dell’ordine, la difesa del territorio dagli invasori stranieri, la garanzia di una moneta solida per l’economia, nonché regole chiare e giuridicamente certe per quanto riguarda i più elementari trasferimenti di proprietà fra acquirenti e venditori, debitori e creditori, proprietari e affittuari”.
Lo Stato-nazione è fallito e la shared sovereignty che sta alla base del processo europeo negli ultimi dieci anni non è mai decollata. Come certe coppie che decidono di mettere al mondo un figlio nell’illusione di evitare la rottura di un matrimonio, l’Unione Europea ha generato una moneta unica senza risolvere questioni di base altrettanto – se non più – importanti della moneta: difesa, politica estera, legge. In questa fuga in avanti, come scriveva la Strange, “Se lo Stato ha perduto un’autorità politica significativa in qualche direzione, è più probabile che sia stato verso il basso o lateralmente che verso l’alto in direzione di istituzioni sovranazionali”. I poteri nazionali perduti non sono cioè andati verso istituzioni sovranazionali, non sono andati verso il rafforzamento dell’ONU, verso un progetto come quello dell’Unione Europea: sono finiti nelle mani di attori transnazionali come le banche internazionali, le grandi compagnie assicurative, le grandi imprese della comunicazione e, persino, verso il crimine organizzato. Tutto ciò mentre il terrorismo – anch’esso globalizzato – provocava il crollo dei principi di Vestfalia autorizzando dal punto di vista internazionale qualsiasi ingerenza negli affari interni degli Stati-nazione.
Riprendersi un brandello di sovranità monetaria lasciando tutto il resto nelle mani di organizzazioni più che opache e senza alcuna responsabilità verso le persone è solo l’illusione di una cura. Sembra essere più che altro un triste sussulto nazionalistico condotto magari con le migliori intenzioni ma privo di effetti realmente efficaci.
La crisi che ormai stiamo vivendo da sette anni non è né la crisi dell’Euro né semplicemente la crisi dei subprime o di qualsiasi altra cosa. Si tratta di una crisi ancora più profonda, ossia ciò che la Strange diceva: la crisi della “dispersione dei poteri” provocata dal ritirarsi progressivo della politica dall’economia. Una perdita di controllo che si è accompagnata all’instaurarsi di un paradigma accettato come dogma di fede: nasci-consuma-muori. Una perdita di dimensione politica, etica, di responsabilità tutta a favore di una economia priva di qualsiasi freno se non il profitto allargato a tutte le aree della vita personale. Di questo siamo tutti responsabili. Possiamo cambiare moneta, possiamo illuderci di riprendere “sovranità” ma se non decidiamo che la questione principale è uscire da un paradigma del capitalismo selvaggio non cambierà nulla.
PS del 28 luglio 2013 – Devo fare una rettifica in base a quanto scritto qui dalla Associazione Riconquistare la Sovranità. La data di fondazione risale al 2009. Per quanto riguarda le osservazioni contenute nell’articolo, per evitare fraintendimenti, il dire da parte mia che non “saprei come posizionare l’ARS nello spettro politico” non è e non vuole essere una affermazione con connotazioni negative. Come ha intuito l’articolista (Stefano D’Andrea) si tratta di una mia difficoltà a “categorizzare” all’interno del tradizionale binomio “destra-sinistra” le idee espresse dalla Associazione. Riguardo a Susan Strange, D’Andrea mi rimprovera di aver sostenuto che l’Associazione Riconquistare la Sovranità “non conosce” il lavoro di Susan Strange, sostenendo di averla vista citata (e ne deduco riassunta) in un altro testo. Perciò – e anche qui pregherei di escludere miei intenti polemici – devo rettificare quanto scritto, modificando l’affermazione da “non conosce” a “non ha approfondito il lavoro di Susan Strange.
Massimo ha detto:
Grazie mille Ars Longa.
Savasandir ha detto:
Bisognerebbe parlare di come mai si è instaurato questo paradigma nasci-consuma-muori altrimenti il discorso resta una mera descrizione dei fatti.
Cos’è che motiva la gente a scegliere un modo di vedere il mondo e di agire secondo la comunità nel senso della partecipazione e della condivisione (che è la modalità attiva)? E che cosa verso l’individualismo atomistico, regressivo e depressivo?
Ars Longa ha detto:
Descrivere i fatti mi pare un buon punto di partenza, considerando che non è pratica tanto comune. Poi si possono seguire tutti i filoni di discussione che si vogliono approfondire.
Savasandir ha detto:
Abbi pazienza per il tono imperativo, scrivev.o in fretta sull’Ipad.
La sostanza comunque è quella: il problema è che di fronte a una realtà che ti sovrasta la tua unica arma è l’ “interpretazione aggressiva” ossia un’ermeneutica tesa alla decostruzione che nel rivelare la natura di semplice meccanismo del sistema socio economico mette anche in luce la effettiva possibilità di manipolarlo e non solo di subirlo come dato di fatto o “ananche” immutabile.
Questo non lo fa nessuno e purtroppo finché non nasce un discorso diffuso non potrà succedere nulla. Mi sembra che tu abbia l’età per ricordare che c’era un certo signore che scriveva a proposito della fondamentale importanza della vitalità del “discorso” e dei complssi tentativi del potere di imbrigliarlo. Perché se il discorso si fortifica, come diceva questo signore, la pretesa di poter esercitare la “parresia” non si sarebbe più limitata ai soli figli di madre ateniese.
Ecco, se si capisce che l’unica chiave è che nasca il “discorso” sarebbe già un buon passo avanti.
Nella fattispecie il punto chiave è che questo passaggio da una mentalità comunitaria forte e partecipativa all’individualismo atomistico che è stato il (non) terreno adatto per la diffusione del nasci-consuma-muori va spiegato, smontato, decostruito perché solo così se ne rivela la natura non “assolutamente necessaria e inevitabile”.
Ars Longa ha detto:
Direi che sono effettivamente abbastanza vecchio per ricordare (oltre a Foucault) altri due nomi cancellati dai cataloghi librari e dalle teste: Marcuse e Debord.A quell’epoca la negazione al paradigma del consumo non passava per “new age” o confuse pulsioni che – anzitutto – si sentono in dovere di premettere il rifiuto di qualsiasi ideologia. All’epoca il ragionamento che si faceva non era quello del “consumare meno” (che è un discorso debole perché ha in sé un ascetismo laico) ma del “consumare avendo presenti i bisogni reali”. Questo presupponeva che le persone avessero come primo obiettivo il raggiungimento di un grado di consapevolezza sufficiente per vedere l’oggetto del consumo come un utensile per arrivare ad altro di più importante e negassero il consumo di ciò che si riduceva ad un “in sé” chiuso.
Era la trasformazione da cittadini a consumatori acritici che si sottolineava. “L’uomo ad una dimensione” di Marcuse e tutti i suoi scritti avevano anticipato quella tensione verso la possibilità di manipolare il sistema scoprendo quel “principio di prestazione” che è esploso nella mente delle persone a partire dagli anni Ottanta dopo una lunga gestazione. Quella che tu chiami “interpretazione aggressiva” – non dico sia stata fatta completamente – ma è stata condotta per molti anni dalla Scuola di Francoforte e da Foucault. Il problema è che quel sentiero si è riempito di erbacce perché nessuno ha continuato a percorrerlo. Tanta brava gente piena di buone intenzioni e di buonafede ha cercato altre strade (che oggi per esempio possono essere il decrescismo, l’MMT, etc.) che invariabilmente si arenano senza cogliere i modi più efficaci per “nominare” e “manipolare” la realtà. Allora se posso esprimerti il mio punto di divergenza: il “discorso” era già iniziato, sarebbe opportuno riprenderlo.
Savasandir ha detto:
Ma magari ci fossero altri che mi esprimessero i punti di divergenza, significherebbe che sta nascendo un discorso.
Il punto è che il discorso non deve rimanere limitato a Francoforte o a quel signore un po’ narcisisticamente nicciano di Foucault ( sempre interessante comunque); il discorso deve diffondersi fra la gente. Bisogna passare dal concettuale in cui si veicolano concetti da digerire come sono fatti, al discorsivo in cui conta più il processo che il concetto, il rapporto fra le persone che discorrono più che il pensiero in sé.
Se nasce questo tipo di discorso diffuso rinasce la consapevolezza e la voglia di partecipare; ma attenzione che la gente può pensare di avere il permesso di iniziarlo solo se lo comincia un “figlio di madre ateniese” ossia un intellettuale con un curriculum di rispetto e possibilmente di origini sociali elevate.
Non è simpatico dirlo ma è così ma una volta cominciato il discorso nuovo si riuscirà anche a suoerare questo tipo di impasse.
Ars Longa ha detto:
Boh, mi amadre non era ateniese ma se perdo tempo con questo blog ci sarà pure un motivo 🙂
Savasandir ha detto:
Forse ho capito male (e temo anche di essermi espresso male); non volevo dire che può parlar chiaro solo chi ha uno status sociale o un prestigio elevato, ma che allo stato attuale la gente darebbe ascolto solo a qualcuno con cui, almeno all’inizio, possa voler identificarsi.
Ars Longa ha detto:
In questa fase contingente la gente sembra dare ascolto a qualcuno che – a prescindere da status sociale o prestigio elevato – abbia una formula semplice di “salvazione”. Siamo al di là di qualsiasi teoria weberiana, anche al di là del “capo carismatico”: siamo in uno stadio di disperazione e di confusione diffusa. Qualsiasi imbecille può farsi capopolo.
Enrico ha detto:
“La distribuzione sociale e non la crescità dominerà la politica del nuovo millennio. è essenziale che non vi sia alcuna ripartizione delle risorse attraverso il mercato o, almeno, che vi sia una spietata restrizione del ruolo redistributivo del mercato se si vuol fronteggiare l’incombente crisi ecologica. In un modo o nell’altro il destino dell’umanità nel nuovo millennio dipenderà dalla restaurazione dell’autorità pubblica” E. Hobsbawm
Riprenderci la sovranità presuppone che prima si individuino i livelli dove si prendono o si potrebbero prendere le decisioni di interesse generale.
Palesemente, questi luoghi non sono più i governi ed i parlamenti dei singoli stati nazionali, o magari lo sono solo in minima parte.
Potenti autorità decisionali potrebbero essere i vari organismi sovranazionali, nel caso decidessero di imporre la loro autorità sul capitalismo invece di assecondare quest’ultimo.
Ma chi dovrebbe farsi carico dell’instaurazione di un’autorità pubblica stavolta a livello sovranazionale?
Inutile illudersi che gli attuali governanti delle varie nazioni prenderanno tali impegni spontaneamente ed in tempo di pace.
Bisognerebbe partire dalla consapevolezza dei cittadini, ma se guardiamo all’Italia ed all’Europa di oggi non si può che essere pessimisti. Tutti i disagi delle persone si scaricano irrazionalmente su bersagli più alla portata (i privilegi della politica, gli impiegati statali, gli immigrati, i terroni, gli anziani) e spesso con effetti controproducenti (es. le critiche contro i servizi rimasti in mano pubblica, oppure gli auspici di presidenzialismo e concentrazione dei poteri).
Sono misantropo ed i tempi non mi sembrano maturi.
dariaccio ha detto:
mi pare qualcosa non sia andato nella pubblicazione del commento, ci riprovo
certo sovranismo “di sinistra” proviene dal parallelo tra una supposta crisi dello stato nazione causata dalla globalizzazione e la crisi della sinistra stessa che sembra aver così smarrito i propri riferimenti
a me tutto questo dice quanto la sinistra europea fosse compromessa da un lato con lo stalinismo (il “socialismo in un solo paese” che si è tradotto in capitalismo di stato a forte vocazione imperialistica) e dall’ altro lato come questa sinistra non abbia rappresentato altro che alcune fazioni borghesi che aspiravano a farsi classe dirigente. anti-capitalisti a parole, bramosi di sovraintendere e replicare il rapporto di dominio che si invera nel lavoro salariato – un ottimo esempio storico ne è “la repubblica fondata sul lavoro…”
peraltro trovo errata la tesi che la globalizzazione (che qui intendo semplicemente come nuova divisione internazionale del lavoro) metta in crisi le premesse che stanno dietro allo stato-nazione. a guardare la guerra economica europea, così come -allargando lo sguardo- la sistematicità estensiva ed intensiva della competizione, non si direbbe.
so che Hobsbawn -in vasta e ottima compagnia- auspicava un grande futuro del capitalismo di stato (sulla scia del modello cinese…?) ma che questo abbia a qualcosa a che fare con la liberazione degli individui dal dominio capitalista -anche sulla scorta della teoria critica dei citati francofortesi- mi sfugge.
a mio modesto avviso non c’è alcuna via d’uscita dal dominio attraverso la numerosa fenomenologia del dominio stesso,sebbene queste strade (nuova redistribuzione della ricchezza, sottoconsumismo, ripristino sovranista, controllo politico dell’economia ecc ecc) siano velleitariamente ammantate di realismo, che è poi la forza del cattivo presente che non molla mai
oggi il punto non è ancora trovare risposte alle opzioni (già vagliate e tutte interne all’ economia politica) che il presente pone, ma una bussola che ci renda realmente autonomi da queste opzioni. la pena è girare in tondo e riprodurre ancora di nuovo lo stesso dominio senza afferrarlo concettualmente
Nello De Padova ha detto:
Grazie per avermi introdotto alla conoscenza della Strange.
Alla prossima, Nello
Truman ha detto:
Sull’idea che “Lo Stato-nazione è fallito e la shared sovereignty che sta alla base del processo europeo negli ultimi dieci anni non è mai decollata” ho qualche dubbio.
Il più importante degli stati-nazione continua a seguire logiche nazionalistiche. I suoi più importanti avversari (Russia e Cina) continuano a curare gli interessi nazionali. La Germania, riunificata dopo lunghe sofferenze, esercita la sua supremazia in Europa. La Francia si difende.
Io tendo a vedere insomma un certo numero di Stati-nazione coerenti, che colonizzano gli altri tramite l’economia.
E mai la “la shared sovereignty” è stata alla base del processo europeo, anche se le dichiarazioni ufficiali dicevano questo. Ma c’è molta rappresentazione nelle dichiarazioni ufficiali, mentre la base del processo europeo era in realtà la creazione di una “moneta forte” (nel senso che non si doveva inflazionare) in modo da garantire profitto agli investitori finanziari. Nel frattempo si doveva fare in modo di controllare gli Stati più piccoli tramite istituzioni non elettive, dove il potere reale fosse indipendente dal voto popolare.
Progetto parzialmente riuscito, nel senso che le strutture ci sono, ma il risultato assomiglia a un nuovo medioevo, poco adatto al profitto. Non solo riduce i popoli a nuovi servi della gleba, ma non fornisce profitto alle elite.
E allora bisognerebbe dichiarare che l’ultima spiaggia del capitalismo, la finanza d’assalto, ha fallito il suo tentativo (disperato?) di far crescere il profitto in modo illimitato in un mondo limitato.
La scelta è ormai tra la resa del capitalismo, con l’effetto collaterale del ritorno degli stati-nazione, ed un nuovo medioevo, con feudi, vassalli, valvassini e valvassori.
Ars Longa ha detto:
Il fatto che ci siano stati che perseguono logiche nazionaliste (alla fin fine tutti) non significa che gli Stati non siano falliti e che detengano ancora il potere. Non so se la finanza sia l’ultima spiaggia del capitalismo. Francamente a me sembra che il capitalismo goda di ottima salute e che si stia adeguando alle mutate condizioni con una delle sue crisi di adattamento. Se andiamo a vedere la situazione generale mentre le sto scrivendo c’è gente che sta facendo soldi a palate proprio con strumenti finanziari. Per questo dubito che il capitalismo sia in condizioni vicine alla resa e dubito anche che si possa restituitr agli Stati il potere perduto.
Truman ha detto:
Giudicare lo stato di salute di un paziente durante una crisi è tendenzialmente un’impresa prona ad errori, anche grossolani.
Ciò che mi sento di condividere è che effettivamente numerosi Stati si comportano come se si fossero arresi.
Ma la mia sensazione è che in questo caso sia da applicare von Clausewitz, più che i termini economici (“fallimento”). Alcuni Stati sono stati occupati militarmente, senza che nemmeno sia stata dichiarata una guerra. O resistono con decisione, oppure sono destinati a scomparire.
Ars Longa ha detto:
Ed hai perfettamente ragione. Però considera che questa è la terza crisi globale del capitaismo. La prima è del 1873 e la seconda è del 1929. nei due casi precedenti si dedusse che il capitalismo stava morendo. Non morì e si trasformò in qualcosa di diverso adeguandosi al cambiamento che ne aveva provocato la crisi.
E se, come suggerisce la Strange, pur avendo delle forme di “resistenza” alla fin fine risultassero in realtà complici?
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